SERGIO GIOLI
Editoriale
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Il vero nemico degli studenti

Le occupazioni universitarie raggiungeranno il loro culmine la prossima settimana, il 15 maggio, anniversario di quella che gli arabi chiamano Nabka, letteralmente catastrofe, vale a dire l'esodo di circa 700mila palestinesi dai territori occupati da Israele all'indomani della guerra del 1948. In questi giorni si stanno moltiplicando le tendopoli, anche a Bologna, e sta salendo il tono bellicoso dell'iniziativa che, a partire dal nome, 'intifada degli studenti', purtroppo non promette nulla di buono. Speriamo di sbagliarci, ma accanto a chi pensa a una pacifica manifestazione di dissenso si muoveranno come sempre gli agitatori di professione, gente che soffia sul fuoco nella speranza che la scintilla degeneri in incendio. Vedremo. Per ora vale la pena soffermarsi su quello che pensano molti ragazzi e, diciamolo, anche docenti. C'è un sentimento anti israeliano, certo, che si traduce in una critica severa e in parte giustificata dell'operato del governo di Gerusalemme ma che sfocia nell'antisionismo quando giustifica la barbarie di Hamas. E c'è in generale un ben più ampio e diffuso sentimento antioccidentale che alberga da tempo nell'intellighenzia europea e americana. La nostra società - potremmo dire la nostra cultura - è minata da una pulsione autodistruttiva che si traduce nella rinuncia a difendere i valori occidentali (perché non vengono più vissuti come tali) o, peggio, a guardare con indulgenza chi, nel resto del mondo, questi valori calpesta facendosi beffe della nostra incapacità di reagire. Putin ha aggredito l'Ucraina contando sulla debolezza dell'Europa, prima ancora politica e culturale che militare. Tra i giovani che occupano le università non c'è nessuno che non sia favorevole a una resa di Kiev. E nessuno ha manifestato né occupato aule dopo la morte di Aleksey Navalny. Né l'ha fatto dopo l'aggressione che è costata un occhio a Salman Rushdie, sul cui capo penderà per tutta la vita la fatwa emessa nel 1989 dall'ayatollah Khomeyni. Né, dopo una prima ed effimera fiammata di solidarietà, sostiene la battaglia delle donne iraniane in lotta contro il patriarcato islamista. Diciamolo chiaramente, senza ipocrisie: non c'è nessuno tra gli abitanti delle tendopoli universitarie che non simpatizzi per Hamas. Perché? Negli Stati Uniti la chiamano 'woke culture'. In un articolo sul Foglio, Giulio Meotti la spiega così: ''Questa ideologia ha portato all'assunto che tutti i paesi poveri siano automaticamente buoni e tutti quelli ricchi intrinsicamente cattivi. Europa e America sono super oppressori. La Cina è trattata con indifferenza o indulgenza. Il regime iraniano è visto come un alleato, poiché si oppone al Grande Satana. Hamas è per definizione una vittima. Israele, una democrazia multireligiosa, è l'oppressore''. Se questo è il quadro, la domanda è: le tendopoli che vediamo in questi giorni sono espressione della maggioranza degli studenti? Probabilmente no, ma è pur vero che la protesta dei pochi si salda al conformismo silente dei molti.