Ubaldo Bartolini, l’inquietudine della natura

Fino al 27 settembre a Palazzo Bracci Pagani di Fano la rassegna-omaggio della Fondazione Carifano, a cura di Carlo Bruscia

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di Cecilia Casadei

Una gigantesca onda minacciosa si solleva da un mare calmo quando una donna piccolissima, che avanza, ignara, verso lo spettatore rischia di essere travolta. Potrebbe essere letta come una metafora del presente: è l’opera emblema della grande mostra antologica, promossa dalla Fondazione Cassa di Risparmio di Fano, che a Palazzo Bracci Pagani celebra, a cura di Carlo Bruscia, l’artista Ubaldo Bartolini. Illustre protagonista dell’arte del ‘900 con una svolta coraggiosa, più volte invitato alla Biennale di Venezia. Marchigiano, nato a Montappone (provincia di Macerata) nel 1944: "un piccolo borgo dove ho vissuto per tredici anni, dove ho respirato il profumo dei tigli, della paglia per fare i cappelli, quello del mosto. La luce chiara della lampada ad acetilene, i colori, le tradizioni di un paese che mi ha iniziato alla vita".

In origine fu il suo “Pinocchio commercialista“ che affascinò galleristi di calibro come Pio Monti, e Il suo celebre paesaggio dipinto su un pennello, una sorta di identificazione del soggetto con l’oggetto. "Un lavoro del ‘72, allora non si parlava d’altro che di tautologia, metonimia. Guardando un mio pennello sporco di colore mi apparve una piccola casetta col tetto rosso. "L’artista è l’origine dell’opera, l’opera è l’origine dell’artista“, scriveva Heidegger.

A Roma, nel 1972, incontra Enzo Cucchi, conosce Gino De Dominicis che lo incoraggia ad avere fiducia nelle sue capacità. Negli anni Ottanta Bartolini riprende la strada di quella pittura che il Concettualismo aveva cancellato, lo fa con una originale pittura di paesaggio che rimanda ad esempi celebri del ‘600 per divenire personale, intimo racconto. Ubaldo Bartolini dipinge paesaggi di grandi dimensioni con alberi e nuvole che paiono venirci incontro, carichi di tensione spirituale: trasposizione di stati d’animo, architetture di una natura che riverbera il sentimento dell’attesa, del passaggio. Contemplazione di bellezza, scene in cui scorre più forte la vita. Nella sua pittura c’è anche la lezione di un Turner maestro di luce. "La luce come luogo della menzogna che permette di vedere le cose intorno come una sorta di promessa. Ma ora rappresento la luce come illuminasse se stessa e avanza minacciosa verso lo spettatore".

Il suo linguaggio accarezza lo stile romantico per quell’alone di inquietudine e malinconia che l’opera conserva e per quel carattere di evanescenza che attraversa la tela, pur nel trionfo della natura. Aspetti di un linguaggio che riflette sull’impermanenza delle cose, abbraccia contenuti simbolici, introspettivi, filosofici, contenuti della memoria e vira nella direzione di quella unicità che fa di un artista un artista puro. L’opera di Bartolini si assume il compito di partire dall’ambito concettuale per “Ridipingere la pittura“ come recita il titolo della mostra, con un testo critico di Lorenzo Canova e a cura di Carlo Bruscia, che riunisce oltre sessanta opere. Paesaggi come luoghi ovattati, immersi in un alone di silenzio e l’alba e il tramonto hanno, talora, una unica identità. Grandi nuvole come matasse di zucchero filato sovrastano la terra, alberi allineati come una barriera verde e un “Mare d’inverno“ è una grande oasi rosa dove scompare l’orizzonte. Immagini dove spuntano piccole figure umane, carattere distintivo di un originale alfabeto.

"Quelle sagome non sono riferibili al genere maschile che mi riporta a mio padre col quale ho avuto un rapporto conflittuale. Sono figure che evocano il ricordo di mia nonna, una persona importante per me, capace di amare in silenzio. Con lei andavo al lavatoio per il bucato e i “luoghi“ che ho introiettato sono quelli della vita marchigiana, della terra di mia madre, ma il paesaggio che dipingo è luogo dell’anima, paesaggio senza paese". Ora il pennello accarezza la tela, traccia un movimento curvilineo, le pennellate disegnano l’azione del vento e tracciano piccoli sentieri che conducono, forse, a casa; talora, verso quello che pare il castello di una favola. Luoghi da attraversare, luoghi in cui tornare e un titolo ricorrente: "il ritorno". Espressione di un’arte che nasce da una mancanza, come afferma lo stesso artista nel video che accompagna la mostra. E vorremmo che quello della sua arte fosse un "eterno ritorno".