"Non chiamateci eroi, è il nostro dovere"

Nella Giornata internazionale degli infermieri, le toccanti esperienze dei dipendenti dell’Ausl: "Ecco cosa ci ha insegnato la pandemia"

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"Non chiamateci eroi". Durante la pandemia hanno subito il peso fisico ed emotivo dell’emergenza, lavorato bardati di tutto punto, visto da vicino storie toccanti e toccato con mano la fugacità della vita. Ma la passione e la professionalità erano in prima linea anche prima del Covid. Gli infermieri, nella Giornata internazionale che oggi è dedicata a loro, portano la propria testimonianza maturata nelle attività dell’Azienda Usl. Giovanni Ciociola, 48 anni, ha passato gli ultimi 18 alla Lungodegenza Post Acuzie Geriatrica Riabilitativa del Delta. "L’empatia è fondamentale nell’interazione con il paziente anziano per capire i suoi bisogni. Bastava uno sguardo per comprendere la loro solitudine. Siamo eroi? Ci guardano con occhi migliori, ma noi abbiamo fatto solo il nostro lavoro. Mi ricordo che una signora mi ha ringraziato tantissimo per averle fatto fare una videochiamata con sua mamma. Due giorni dopo era sotto ossigeno ed è morta. Lì ho capito davvero cosa fosse il Covid, un virus insidioso che non perdona". "Cosa mi ha insegnato la pandemia? A non dare nulla per scontato. La vita è preziosa: l’ho sempre pensato, lavorando in Pronto Soccorso, ora più che mai ho realizzato che è una grande verità". A parlare è Elisa Grassilli, 49 anni, in pianta stabile all’ospedale di Cento. Insieme ai suoi colleghi: "Siamo diventati ancor di più una squadra perché l’unione nelle difficoltà permette di affrontare tutto – confida Elisa –: le procedure di vestizione, la nuova riorganizzazione in spazi ristretti e tutte le misure di contenimento da adottare sono diventate la normalità, anche se finalmente vediamo un miglioramento". "La gente si è accorta della fatica del nostro lavoro, ma abbiamo fatto quello che facevamo prima, la differenza è che siamo stati con i riflettori puntati come se fossimo degli eroi", conferma Sara Gilli, 29 anni, in servizio alla Medicina Covid del Santissima Annunziata. Sotto la divisa, ha assistito all’evoluzione della pandemia dai "pazienti che necessitavano di ossigeno terapia semplice fino a dover utilizzare le macchine con i caschi per la ventilazione non invasiva. Ho visto scene che stringono il cuore".

Lo sa bene anche Paolo Agnelli, 47 anni, che nella Terapia Intensiva Multispecialistica del Delta ha visto "il lavoro stravolgersi. È molto provante fisicamente (basti pensare a un intero turno bardato senza neanche poter bere un sorso d’acqua) ed emotivamente, specie quando incontri coetanei attaccati al respiratore che non accennano a migliorare. Fortunatamente da fuori non si vede quello che vediamo noi: la gente si lamenta della quarantena, dei tamponi, del coprifuoco… li capisco, ma noi vediamo quelli che stanno male davvero, pazienti intubati, familiari che non possono avere contatti per settimane se non mesi".

"L’impatto è molto duro", conferma Sara Bertoli, 39 anni, passata in un anno da una casa famiglia alla Medicina del Delta fino alle Unità Speciali di Continuità Assistenziale di Argenta: "Quando andiamo a domicilio a fare i tamponi, ci trasformiamo anche in educatori perché i pazienti rivolgono tante domande sui comportamenti corretti da tenere. Comunque sono riconoscenti di quello che facciamo". L’insegnamento e il senso di comunità: "Se ognuno facesse la sua parte ne usciremmo prima. Anche noi come professionisti riusciremmo a fare meglio il nostro lavoro e tornare alla normalità senza tutti questi alti e bassi". Una valorizzazione del ruolo degli infermieri vissuta anche da Morena Benini, 57 anni, trasferita dalla Cittadella San Rocco all’hotel Astra per gestire i pazienti positivi che non avevano la possibilità di fare l’isolamento a domicilio: "La difficoltà non sta tanto nell’accoglimento quanto nel supporto psicologico a chi rimane chiuso in una stanza anche per mesi" racconta Morena che, anche per affrontare il caso dei due fratellini in quarantena, ha sentito più forte "l’integrazione tra servizi come arma vincente. Nonostante i sacrifici, anche per la mia famiglia che è stata messa in secondo piano, la fatica viene ripagata". Integrazione rafforzata anche con i medici di Medicina Generale per le vaccinazioni anti-Covid in Cra e Adi. "Anche adesso che siamo vaccinati – conclude Morena – dobbiamo dare l’esempio e non abbassare la guardia. Gli sguardi e le parole possono essere determinanti, non dimentichiamolo mai".