Verso il 25 aprile: "Il ricordo di mio fratello, morto da partigiano. Un male da non ripetere"

Fernando Folegatti era un bambino quando apprese del sacrificio del parente "La mia era una famiglia di antifascisti, avevamo i tedeschi sempre in casa. Fondamentale celebrare questa data, non posso scordare ciò che è accaduto".

Verso il 25 aprile: "Il ricordo di mio fratello, morto da partigiano. Un male da non ripetere"

Verso il 25 aprile: "Il ricordo di mio fratello, morto da partigiano. Un male da non ripetere"

Nella sua famiglia erano in nove ad aver scelto la via della lotta partigiana. Suo fratello Vincenzino, morto pochi giorni prima della Liberazione mentre soccorreva un compagno in pericolo, è diventato il volto e il simbolo della Resistenza nel Comacchiese. In quei giorni convulsi, Fernando Folegatti aveva solo nove anni. I ricordi sono quelli di un bambino, ma nella mente sono ben chiari i fatti e la posta in gioco. E oggi, 79 anni dopo, rivendica e attualizza le scelte e le idee che hanno accompagnato la sua famiglia.

Folegatti, che ricordo conserva di quei giorni?

"È sempre difficile tornare a quei momenti, sono ricordi dolorosi. Mio fratello morì il 18 aprile, quando noi eravamo sfollati. Lo venimmo a sapere solo dopo la Liberazione, quando tornammo a Comacchio".

Cosa successe?

"Comacchio fu liberata il 21 aprile. Mia madre aveva un brutto presentimento, perché nessuno ci veniva a prendere nel luogo in cui eravamo. Vennero solo il giorno dopo. Arrivati in paese, la gente ci fissava. Tutti sapevano tranne noi. Mia madre sentì una donna dire sottovoce, ‘poverina, non sa niente’. In quell’istante capì e si chiuse nel dolore. Portò il lutto da quel giorno fino alla sua morte".

Che memoria conserva di suo fratello Vincenzino?

"Non era un ragazzo di 21 anni, era un uomo. Durante la Resistenza lo si vedeva poco a casa. Veniva, si cambiava, faceva provviste e poi scompariva. Portava cibo anche ai suoi compagni. A me diceva che ero il suo braccio destro".

La sua storia viene ripercorsa anche dal racconto ‘Il bambino che imparò a leggere il fondo della valle’ di Susanna Pucci, presidente dell’Anpi di Comacchio. Come leggeva, con gli occhi di un bimbo, quegli anni terribili?

"La mia famiglia era sfollata. Sapevano che eravamo antifascisti e ricevevamo sempre le ‘visite’ dei tedeschi. Accadeva di giorno, ma anche nel cuore della notte. Guardavano ovunque, in cerca di partigiani. Anche sotto i lettini e le culle dei bambini. Ci imponevano di tenere la porta di casa aperta. Anche se ero piccolo non potrò mai scordare quello che è stato, né il sacrificio di mio fratello".

È ancora importante celebrare la festa della Liberazione?

"È fondamentale per non dimenticare le brutture e il male che è stato commesso. È necessario per non ripetere gli stessi errori del passato. La mia famiglia ha sempre manifestato le proprie idee, senza paura. E sono fiero di essere discendente di chi ha combattuto per la libertà".