
A 96 anni, ha ricordato il 10 dicembre 1944: "La messa fu anticipata di un’ora, altrimenti i morti sarebbero stati centinaia"
(detta Ianna) *
La funzione religiosa in forma solenne, una benedizione e un ringraziamento per essere ancora vivi, la prima dopo la fine dell’occupazione tedesca, fu anticipata di un’ora per sopraggiunti impegni di don Pietro Garbin e di altri salesiani, chiamati a occuparsi di un funerale. La chiesa era gremita con tante persone anche sul sagrato che accorsero per devozione ma anche per il grande carisma di don Garbin che con la sua sola presenza attirava molti fedeli. Terminata la funzione, mio fratello Carlo (che aveva 8 anni) e io rientrammo subito nella nostra casa di via Emilio Dandolo che si trovava e si trova ancor oggi a poche decine di metri dalla chiesa.
Eravamo ancora sul portone quando alcuni soldati – inglesi o neozelandesi non ricordo – che avevano occupato la nostra casa dopo che i tedeschi se n’erano andati, ci afferrarono e ci buttarono a terra senza che noi capissimo cosa stava accadendo. L’esplosione fu devastante come non ce n’erano mai state dalle nostre parti e molti vetri della casa andarono in frantumi: per intendere, ricordo che nel punto della deflagrazione non c’erano macerie, né tantomeno resti della chiesa: era stata letteralmente rasa al suolo.
Dopo 80 anni rivedo ancora quell’immagine desolante di un uomo solo, vecchio che cercava di correre affannosamente verso la chiesa per cercare noi ragazzi visto che non ci aveva visti rientrare: era lo zio Leonida, un anziano parente che avevamo ospitato durante la guerra, claudicante e sordo. Fortunatamente il caso volle che mio fratello e io ci salvassimo. Se la funzione non fosse stata anticipata di un’ora non solo non sarei qui a raccontare ciò che ho visto e che ricordo, ma soprattutto le vittime si sarebbero contate a decine, forse a centinaia.
Nei giorni successivi i soldati che avevano occupato casa nostra ci dissero che forse la bomba aveva come obiettivo la nostra abitazione dove era situato un comando alleato. Mia madre in quei giorni non stava bene ed era a letto con la febbre alta, al punto tale che i soldati le avevano ceduto un letto per farla riposare meglio, invece del pagliericcio e delle sistemazioni di fortuna che avevano attrezzato in cantina dove le truppe avevano confinato tutta la mia famiglia in quei giorni. Per questo motivo infatti lei non fu presente alla funzione di quel tragico giorno. Ma non tutti lo sapevano.
Mia madre ogni volta che andava a messa, terminata la funzione, si fermava a pregare da sola per diversi minuti di fronte all’altare di Don Bosco, con un pensiero a tutti noi ma in particolare al figlio maggiore Werther che era stato deportato in Germania. Rammento che il giorno dopo l’esplosione ci fu una fila quasi ininterrotta di persone che vennero a suonare a casa nostra per avere notizie della ‘signora Dina’, così come mia madre veniva chiamata nel quartiere. E questo perché molti ritenevano che proprio per la sua abitudine a trattenersi in chiesa dopo la messa, mia madre si fosse trovata in chiesa durante il bombardamento.
Per fortuna la febbre alta l’aveva costretta a letto e mia madre non era andata alla benedizione, perché in caso contrario non sarebbe certo sopravvissuta. Mia madre era una donna di una generosità straordinaria, difficile da descrivere, pronta a privarsi di tutto. Ricordo ancora le parole che pronunciò don Stefano Cozzi nell’omelia durante il suo funerale di lunedì 10 dicembre 1973 (lei era morta venerdì 7: "Nemmeno i suoi figli sono a conoscenza del bene che lei ha fatto a tante persone".
* testimone
del bombardamento
del 10 dicembre 1944