"Fermiamo lo sfruttamento dei bambini"

I ragazzi della III B invitano gli adulti allo shopping consapevole: "Assurdo che in certi Paesi del mondo si lavori già a 10 anni"

"Fermiamo lo sfruttamento dei bambini"

"Fermiamo lo sfruttamento dei bambini"

"Pregate per me". Questo è quello che dice una bambina pakistana di soli dieci anni intervistata nel suo posto di lavoro da giornalisti europei. Una bambina a questa età dovrebbe divertirsi e andare a scuola, invece per aiutare la propria famiglia decide di andare a tessere vestiti per i Paesi europei e non solo. Come siamo arrivati fino a questo punto? Forse dobbiamo fare un piccolo passo indietro, a quando la Fast Fashion venne creata. Il mondo della moda ha subìto moltissimi cambiamenti nel corso della storia, specialmente nell’ultimo secolo: un tempo gli abiti si tramandavano di generazione in generazione e comprare un pantalone nuovo significava spendere gran parte della retribuzione. A partire dagli anni ‘60, il boom economico ha cambiato radicalmente la situazione: il concetto di quantità ha sostituito quello di qualità in molti ambiti della vita, compreso quello della moda. La nascita di grandi magazzini e il desiderio di possedere tanti beni materiali ha portato alla nascita di nuove taglie e alla produzione di vestiti usa e getta, da rinnovare in tempi brevissimi, a prezzi stracciati. Nel giro di pochi anni, tutti possono imitare i look delle celebrità, costruendo un vestiario alla moda spendendo pochissimo.

Questo fenomeno prende il nome di Fast Fashion, “moda veloce”. La culla del Fast Fashion è New York, dove l’azienda Zara aprì le porte del suo Store nel 1989, dando vita a un nuovo modo di fare business. La tecnica venne presto adottata da brand come Shein, H&M, Primark, ma quelli che rimangono nell’ombra sono gli impatti ambientali e sociali, che incidono negativamente sul nostro pianeta. Problematiche ambientali: Il Fast Fashion consuma 93 miliardi di metri cubi d’acqua, sufficienti a dissetare 5 milioni di persone, per produrre vestiti. La qualità scadente dei tessuti fa sì che, nel giro di un lavaggio, le microfibre sintetiche dei capi vengano rilasciate in lavatrice: il grosso problema è che la metà di queste non viene filtrata dall’elettrodomestico e finisce, attraverso gli scarichi, in fiumi e mari. Il processo di tintura dei tessuti produce dei liquidi che vengono gettati nei fiumi vicino alle fabbriche africane e del Sud - Est asiatico, che producono vestiti per l’Europa e gli Stati Uniti. Inoltre, nella coltivazione di fibre naturali come il cotone, vengono spesso usati pesticidi e prodotti chimici che attraversano il terreno e finiscono nelle falde acquifere.

Problematiche sociali: 18 ore lavorative, niente pause, un guadagno di tre centesimi all’ora: queste sono le condizioni imposte agli impiegati di Shein, l’azienda cinese che sta spopolando negli ultimi anni, il cui guadagno non supera i 540 euro mensili. Se consideriamo una maglietta di 29 euro, il 59% del ricavato spetta alla distribuzione, mentre solo lo 0.6% è destinato al singolo operaio. Il primo passo per un futuro più sostenibile è uno shopping più consapevole e contenuto.

Mattia Ferri, Alessandra Nardiello, Desiree Brini, Matteo Bianchi, Giacomo Ravaglia

(IIIB Orsini – I.C. 7 Imola)