LORENZO MONACHESI
Cronaca

Angelo Sparvoli al Savoy di Londra: “I miei Margarita per Paul McCartney". Quando il cocktail è arte

Trentenne di professione senior bartender, racconta come è arrivato nel locale frequentato da Churchill e Hemingway: "All’inizio pulivo i bicchieri. Tutto è nato in Portogallo"

Angelo Sparvoli lavora all’American bar del Savoy Hotel di Londra

Macerata, 2 giugno 2024 – Da Winston Churchill a Ernest Hemingway fino a Paul McCartney: è lungo e prestigioso l’elenco di illustri ospiti serviti all’American bar del Savoy Hotel di Londra dove oggi lavora il camerte Angelo Sparvoli, il trentenne senior bartender. "Sono nostri clienti - spiega - diversi personaggi famosi che ci chiedono il massimo della privacy. È vero che c’è Paul McCartney il quale preferisce un Margarita con una spruzzata di arancio spremuto".

Sparvoli, ma chi è il bartender?

"È la figura che si interessa dell’ospite. Abbiamo uno staff che si occupa di diversi aspetti e c’è un supervisor, noi stiamo al banco e prepariamo da bere".

Lei ha il diploma di geometra, come ha scoperto questa sua predisposizione per il mondo della mixology?

"Per un po’ ho fatto il tirocinio per la professione per cui ho studiato quando ho iniziato quasi per caso al bar Centrale a lavorare preparando caffè e aperitivi. Da quel momento sono stato spinto a imparare e sono stato nel 2014 e nel 2015 a Londra per frequentare dei corsi".

Questi corsi le hanno aperto subito delle porte?

"Un mio ex istruttore mi ha informato che in Portogallo stavano cercando qualcuno per l’estate e mi sono buttato".

Perché l’American Bar Savoy è entrato nel mito?

"Vi hanno lavorato professionisti che hanno segnato la storia nel settore, vi sono nati diversi classici come il White Lady, Corpse reviver N.2 - Harry Craddock; il Moonwalk di Joe Gilmore e l’Hanky Panky di Ada Coleman".

Ci sono cocktail nati per celebrare un avvenimento storico?

"Il Moonwalk è uno di questi, è stato creato da Joe Gilmore, che ha lavorato all’American Bar Savoy, per celebrare nel 1969 lo sbarco sulla luna. Si tratta di un drink a base di Grand Marnier, pompelmo, acqua di fiori d’arancio, zucchero, champagne. Questo cocktail fu spedito alla Nasa per gli astronauti di ritorno dalla missione e nel nostro museo è conservata la lettera di ringraziamenti di Neil Armstrong".

Lei ha fatto la gavetta prima di acquisire questa qualifica così importante?

"Certamente. All’inizio sistemavo gli ordini, pulivo i bicchieri, ero di supporto al bartender, portavo il ghiaccio fino a quando nel 2018 sono stato promosso. Poi c’è stata la pandemia e ho fatto il freelance, ho lavorato al St James bar di Londra e tre mesi fa sono tornato al Savoy".

In che senso all’inizio della carriera portava il ghiaccio al bartender?

"Non è quello della macchinetta che si trova solitamente nei bar, noi abbiamo dei blocchi di ghiaccio cristallino che ci viene portato dalle Compagnie già tagliati a misura e poi abbiamo quelli necessari per i bicchieri alti".

Qual è la qualità indispensabile per un bartender?

"Sapersi rapportare con le persone, avere la capacità di parlare con la gente, accoglierla e dare il senso di ospitalità".

Come nasce un nuovo cocktail o long drink?

"Quando facciamo il menù abbiamo un tema e buttiamo giù le storie sviluppate assieme al team. Sappiamo quali sono i sapori apprezzati dalla gente e da lì sviluppiamo i drink. Ne abbiamo dai 16 ai 20 che cambiano ogni anno".

Qual è il suo cocktail più richiesto?

"Martini cocktail, gin tonic, diversi espresso Martini, cioè un Martini con il caffè shakerato, e poi i nostri classici".

Qual è il suo cavallo di battaglia?

"Preferisco un Adonis, un drink molto fresco ed estivo a base di sherry e vermouth".

Quante sono da voi le etichette su cui il cliente può scegliere?

"Tante, faccio fatica a quantificarle ma penso che tranquillamente possiamo vantare più di 500 tra gin, whisky e liquori".

E quanto costa un bicchiere di queste etichette prestigiose?

"Dipende, si va dai 15 pound fino ai 5000 per un cognac del 1858".

Lei utilizza anche alcuni prodotti della sua regione nei cocktail o long drink?

"Mi è capitato di impiegare la Visciolata del Cardinale, ma non è semplice importare certi prodotti con la Brexit e con produttori più piccoli".

A Londra vi lavorano molti bartender italiani?

"Siamo in un buon numero, anche se prima della pandemia e della Brexit eravamo ancora di più".

Come spiega questa ricca presenza di italiani dietro al bancone?

"Siamo considerati tra i migliori come livello di ospitalità".

E fate anche viaggi all’estero per esportare il mondo Savoy?

"Sì, tra un paio di settimane sarò a New York, sono stato di recente in Giappone e Perù. Ci sono bar che ci ospitano e noi portiamo in giro il Savoy dove facciamo conoscere la sua filosofia e proponiamo i nostri classici".

Lei anni fa ha sognato di arrivare al Savoy e chi ha imparato a sognare non smetterà; cosa immagina per sé nel futuro?

"Per qualche anno non mi muoverò di certo. Magari, chissà un giorno, potrebbe esserci un posto mio, ma non mi metto fretta perché è impegnativo aprire un locale a Londra dove c’è una fortissima concorrenza. Non saprei se aprirlo lì o in un posto più caldo".