Gli insulti dei tuttologi privi di dubbi

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Pierfrancesco

Giannangeli

Precariato, stipendi bassi, aggressioni in corsia: poi ci chiediamo perché in pochi si fanno venire la voglia di fare gli infermieri, mestiere importantissimo e delicato. Da eroi durante la prima fase della pandemia a reietti poco dopo, il passo è stato breve: tutto si consuma velocemente in questo tempo superficiale. Concetti ricordati l’altro giorno da Elisabetta Guglielmi, appena confermata a Macerata alla guida del Nursind, il sindacato di categoria. Ciò che più colpisce nella lucida disamina di Guglielmi non è tanto il precariato e gli spiccioli di stipendio, questioni centrali ma purtroppo malattie croniche del sistema pubblico Italia (salvo che per le leggendarie "posizioni apicali"), quanto la sottolineatura dell’inciviltà dei comportamenti dei cosiddetti "utenti" e del corredo intorno. È un segno preoccupante dell’imbarbarimento dei costumi, pare che non ci sia limite al peggio. È una mancanza di rispetto verso le professionalità altrui che, anche nei modi, sta diventando inaccettabile. Sono all’ordine del giorno gli insulti e le aggressioni, che rappresentano la punta dell’iceberg di un modo di fare nei confronti di professionisti nel loro campo da parte di dilettanti in materia. Aspetto, questo, che riguarda anche altri mestieri: oggi, epoca social, tutti possono dire la loro su tutti gli altri, e l’insulto, esplicito o strisciante, è la forma privilegiata. Per esempio agli insegnanti, pur non essendo mai stati nemmeno per sbaglio davanti a una classe cercando con fatica di far passare concetti basilari. Oppure ai giornalisti, pur non sapendo da che parte prendere e girare un foglio bianco. Il mondo è pieno di tuttologi che parlano, non ascoltano, non conoscono il valore del dubbio. È giunta l’ora che chi ha sgobbato per diventare quello che è – quindi esperto di un settore, non necessariamente dell’universo – torni a imporsi, non facendosi prevaricare dal comune senso dell’idiozia prepotente.