Ispettori del lavoro ridotti all’osso Così i controlli restano sulla carta

Appena 19 addetti nella provincia che con la ricostruzione è diventata "il più grande cantiere d’Europa". Taddei (Cgil): "Risorse limitate e usate in modo poco efficace, accertata la presenza della criminalità"

Migration

di Paola Pagnanelli

Sono solo 19 gli ispettori del lavoro in servizio in provincia. Otto di questi per metà del tempo devono coprire le carenze del personale amministrativo, e solo tre sono di profilo tecnico. Un dato che lascia a bocca aperta, in una delle province più coinvolte in quello che è definito da sei anni il cantiere più grande d’Europa, quello della ricostruzione post sisma. "E le poche risorse – sottolinea il segretario della Cgil Daniel Taddei – sono usate in modo poco efficace. Ma ormai la presenza della criminalità organizzata è un dato".

Con centinaia di cantieri nel cratere sismico, da anni si parla del rischio del caporalato, delle opere fatte non a regola d’arte, delle infiltrazioni mafiose. Questioni delicate che andrebbero monitorate di continuo. "Ma l’organico l’Ispettorato del lavoro di Macerata ha 27 unità tra amministrativi e ispettivi – spiega Andrea Coppari della Fp Cgil –. Le carenze di organico sono note da tempo e segnalate a tutti i livelli. La situazione, comune in diverse sedi, è inaccettabile in un territorio come il nostro le cui vicende, a partire dalla ricostruzione post sisma, avrebbero richiesto e richiedono un particolare potenziamento della vigilanza a garanzia di legalità e salute e sicurezza sui luoghi di lavoro". Di recente ci sono state molte verifiche da parte dei carabinieri del Nil sul caporalato, ma l’entroterra è pieno di cantieri. Chi li controlla? "È vero che di recente c’è più collaborazione tra polizia giudiziaria e Ispettorato del lavoro – afferma il segretario provinciale della Cgil Taddei –. Ma il problema fondamentale è che la riforma sull’ispettorato unico, che doveva unire le forze anche di Inps e Inail, è incompiuta. Le banche dati non sono condivise, e ognuno si occupa solo del suo settore. Uno spreco delle poche risorse che ci sono". Uno dei rischi maggiori è lo sfruttamento dei lavoratori. "E ci vorrebbero più tutele per il lavoratore che denuncia. Se un pakistano si espone denunciando il caporalato, è tagliato fuori dai connazionali, rischia di perdere il lavoro, ma anche il cibo e l’alloggio. Lo stesso vale per gli italiani. Denunciare non conviene. Inoltre, non basta sanzionare il caporaletto locale, che viene sostituito subito. Bisogna andare a monte, a chi lo ha messo lì, in genere imprenditori italiani. Per questo la Cgil si è costituita nel processo per i lavori delle Sae, per far emergere tutte le responsabilità". Per i cantieri della ricostruzione, sulla carta ci sono un mare di controlli, procedure, autorizzazioni e nulla osta. Ma tutto rischia di restare formale. Basta pensare alle "white list", le liste di aziende oneste che possono partecipare agli appalti. Sono curate dalle prefetture, "ma anche quegli uffici sono in difficoltà. E poi funziona il silenzio-assenso: se entro un certo termine non arriva la risposta, la ditta si può iscrivere alla lista. È già capitato che fossero nella white list imprese intestate a familiari di persone con precedenti penali. Ci sono troppe liste: ce ne vorrebbe una sola, con tutti i dati, controllata dalla procura antimafia".

È proprio la direzione nazionale antimafia che, da sei anni, mette in guardia dal rischio infiltrazioni della criminalità organizzata, "rischio che ormai si è concretizzato. E nei cantieri più grandi ci sono le vedette che annunciano le ispezioni in arrivo". Il sistema così non funziona. "Il badge di cantiere non si usa, la prefettura di Macerata è rimasta l’unica a non firmare il protocollo operativo e il commissario alla ricostruzione non ha ancora realizzato la promessa piattaforma per i cantieri". E gli ispettori per i controlli non ci sono. Malgrado gli allarmi e la burocrazia pachidermica, la situazione dei controlli nel cantiere più grande d’Europa è questa.