Morti bianche: la sicurezza vale più del profitto

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Mauro

Grespini

Il lavoro è dignità, il lavoro è libertà. Il lavoro non può essere morte, né invalidità. "L’integrità della persona e della salute dei lavoratori è parte essenziale della visione che ispira il nostro patto costituzionale", ha detto il presidente Sergio Mattarella per la festa del 1° maggio. Eppure in Italia muore un lavoratore ogni 8 ore, specie nelle regioni del centro-sud. Dal 2018 al 2021 sono state oltre 4.500 le morti bianche:

è ormai un’emergenza senza fine. E una vittima sul lavoro non è un semplice numero: dietro c’è una storia di una vita spezzata, di una famiglia distrutta, come quella di Grimaldo, il 54enne peruviano, padre di quattro figli, deceduto pochi giorni fa nell’azienda

in cui lavorava da 22 anni.

Il dramma sociale degli infortuni sul lavoro ha pure una pesante ricaduta economica che l’Inail stima in circa 50 miliardi di euro a carico della collettività. Perché allora non riusciamo a essere un Paese un po’ più civile? Le leggi ci sono, ma spesso mancano prevenzione, formazione o sorveglianza. Manca soprattutto la capacità del sistema della sicurezza di fare rete e di far capire a tutti che questo tema viene prima d’ogni altra cosa, a cominciare dal profitto. Servono più risorse da investire nel settore, serve cambiare mentalità.

In rapporto alla popolazione occupata, la media in Europa è di 1.7 incidenti mortali ogni 100 mila lavoratori: la Francia ne registra più del doppio (3.5), seguita da Bulgaria, Lussemburgo, Lituania e Romania. L’Italia è al 12° posto con 2.1 morti bianche, mentre la Germania è 25ª con indice 0.8. Margini per invertire la rotta evidentemente ci sono, troviamo pure noi la via giusta.