Occupati in calo di 3.500 unità

Tra il 2019 e il 2023, la provincia di Macerata ha perso 3.500 occupati, collocandosi al 98º posto su 107. La situazione è preoccupante considerando il contesto positivo del mercato del lavoro italiano, con un record di occupati.

Occupati in calo di 3.500 unità

Occupati in calo di 3.500 unità

Tra il 2019 e il 2023 in provincia di Macerata il numero degli occupati è diminuito di 3.500 unità, un calo del 2,7%, valore che la colloca al 98esimo posto (su 107) nella classifica elaborata dall’Ufficio Studi della Cgia. E’ al decimo posto tra le province con i numeri peggiori, tra le quali ricade, prima in Italia, la provincia di Fermo, che nello stesso periodo ha perso 6mila occupati, registrando un calo del 7,9%, il più pesante del Belpaese. Vanno decisamente meglio le province di Ascoli Piceno, 5.800 occupati in più, + 7%, Ancona, con 7mila occupati in più, + 33,7% e Pesaro – Urbino, 5.400 occupati in più, + 3,5%. Il dato negativo del Maceratese è ancor più preoccupante poiché si colloca, come scrive la Cgia, in un un momento particolarmente positivo per il mercato del lavoro italiano, con un "record storico di occupati" e l’aumento del numero di coloro che dispongono di un contratto di lavoro a tempo indeterminato. Nel 2023, infatti, la platea degli occupati in Italia ha toccato i 23,6 milioni di unità, 471mila in più rispetto al periodo pre-Covid. Sempre nel 2023, è stata raggiunta una incidenza dell’84% di coloro che hanno un contratto di lavoro a tempo in determinato (15,57 milioni su 18,54 milioni) sul totale dei lavoratori dipendenti. Nonostante ciò, il tasso di occupazione in Italia, 61,5%, è fanalino di coda nell’Eurozona, dove si attesta mediamente al 70,1%. E’ probabile che il quadro maceratese (come quello fermano) risenta degli effetti della riduzione del comparto manifatturiero, iniziato con la crisi del 2008, a cui si sono sommati quelli prolungati del sisma del 2016 e della pandemia. Appare comunque evidente che ancora non c’è una forte spinta al rilancio, poiché si fa difficoltà a ridefinire un’idea di sviluppo che riesca a superare strutturali criticità (come il "nanismo" delle imprese) puntando sempre più su settori innovativi. Non che manchino accanto ad attività tradizionali e consolidate nuove e importanti iniziative, ma forse non c’è una regia che le sappia coniugare.