Rosy, le paure degli ultimi mesi "Dispetti continui, mi uccideranno"

Le parole della vittima al telefono la mattina prima di morire: ho comprato le vongole, farò il sugo. I racconti all’amica: "Non posso usare l’acqua calda, mi scaldo le mani con le fiamme dei fornelli in cucina"

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di Chiara Gabrielli

"Mi ammazzeranno. Vorrei scriverti una lettera così quando morirò saprai chi è stato". Questa la convinzione di Rosina Carsetti, trovata morta nella sua villletta a Montecassiano il pomeriggio della Vigilia di Natale: lo ripeteva spesso a un’amica di lunga data, alla quale aveva anche raccontato di due episodi di violenza in casa, uno avvenuto prima dell’estate e uno più recente. Da un primo, ufficioso risultato dell’autopsia, Rosina potrebbe essere stata soffocata. La figlia Arianna è indagata per omicidio volontario, il marito Enrico Orazi e il nipote Enea Simonetti sono accusati di favoreggiamento e tutti e tre di simulazione di reato. "Un giorno, sarà stato verso maggio o giugno, Rosy mi ha raccontato che la figlia le aveva dato uno schiaffo e l’aveva spinta, facendola cadere – ricorda l’amica –. Rosy ha avuto lividi per un mese sul braccio. Quella sera, era andata a dormire a casa di un’amica d’infanzia, a Macerata". Poi, all’inizio di dicembre, aveva chiamato i carabinieri per una lite col nipote. "Mi aveva detto che lui le aveva staccato i fili, credo quelli della tv, e davanti all’ennesimo dispetto lei aveva reagito, chiedendo perché le facessero questo. Allora, il nipote aveva dato in escandescenze e aveva spaccato il divano. A quel punto, spaventata, aveva chiamato i carabinieri". Rosy "soffriva tantissimo – racconta l’amica –, la disprezzavano, l’avevano annullata come persona, cancellata". Prima che figlia e nipote si trasferissero lì, un anno fa circa, "quella casa era aperta a tutti, Rosy invitava noi amiche. Ma poi avevano tolto il citofono, non si poteva andare a trovarla. Non poteva ricevere telefonate, solo chiamare lei. Parlava di dispetti continui, non le facevano fare la doccia con l’acqua calda, le avevano tolto il riscaldamento e nascosto la stufetta, accendeva le fiamme dei fornelli per scaldarsi le mani". Si commuove, la sua amica, ricordando i racconti di Rosy. "Era difficile anche solo ascoltarle, certe cose. La facevano dormire sul divano e diceva che di notte si metteva addosso tre coperte e una cuffia per provare a scaldarsi. ‘Io non ho più una famiglia, che vivo a fare?’, mi aveva detto un giorno. Io cercavo di tranquillizzarla ma lei: ‘è dura, chi non sta in quella casa non può capire’. Aveva molta paura del nipote, ma anche della figlia. Negli ultimi tempi ripeteva che le avrebbero fatto del male, temeva per la sua vita. Lo diceva a tutti. Non avrei mai pensato che sarebbe morta, altrimenti le avrei detto di scrivermene dieci, di lettere, non una soltanto come lei voleva fare. Qualche volta diceva che voleva andarsene, anche se a casa sua era molto legata, ma non sapeva dove, non aveva parenti stretti nelle vicinanze e non aveva una pensione. I familiari le davano solo 10 euro al giorno". Ma perché avrebbe subito questi maltrattamenti? "Nemmeno lei sapeva spiegarsi il motivo di tanto odio, di tanto rancore – riprende l’amica –, e forse un motivo preciso non c’era. In passato il marito la adorava, tra loro c’era amore. Poi i rapporti si sono raffreddati, finché il marito, poco tempo fa, quando la figlia e il nipote si erano già trasferiti lì, le aveva detto ‘io non mangio più con te’ e l’avevano isolata. Mi diceva che in casa nessuno le parlava, che era come se lei non esistesse". Le ultime parole di Rosy al telefono con l’amica, alle 8.30 della Vigilia, il giorno in cui è morta. "Sono stata al supermercato, ho comprato le vongole, farò un sugo". "Dopo – dice l’amica – ho pensato che era strano che non avesse richiamato, come al solito, alle 14.30". Quando è tornata dal centro antiviolenza, il 19 dicembre, mi aveva detto di essere contenta, che aveva raccontato tutto e che avrebbe incontrato un avvocato. Io le avevo detto di stare attenta".