"Solo l’ergastolo potrà renderci giustizia"

La mamma Alessandra Verni dopo il verdetto della Cassazione: cos’altro serve per dimostrare che Oseghale ha violentato mia figlia?

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di Lorenzo Monachesi

"Spero che, presto, venga posta la parola fine a questa parte del filone giudiziario, con la conferma dell’ergastolo per Oseghale: non si tratta di giustizialismo, ma di giustizia". È quanto dice Alessandra Verni pochi giorni dopo la sentenza della Cassazione che ha messo in discussione la possibilità che Innocent Oseghale venga condannato all’ergastolo per l’omicidio della figlia Pamela Mastropietro. Si tornerà infatti in appello per discutere l’aggravante della violenza sessuale: se non dovesse essere riconosciuta, la pena massima non supererebbe i trent’anni. "Merita la massima pena – aggiunge – chi compie su un essere umano tutto quello che lui ha fatto su Pamela. E le dico di più: ciò anche se la violenza sessuale non dovesse essere dimostrata. Sono pronta a pubblicare le fotografie. Sono stanca che si possa ancora pensare che, in fin dei conti, si sia trattato di un "semplice" omicidio".

Cosa ha provato alla lettura della sentenza che rimette in discussione la possibilità che Oseghale venga condannato all’ergastolo?

"Quello che avrebbe provato qualsiasi genitore: rabbia, amarezza, frustrazione. Cosa altro serve per dimostrare che Pamela sia stata anche violentata? Sola, smarrita, senza soldi, senza cellulare, medicine, con una patologia psichiatrica gravissima che, come dimostrato con i documenti, poteva portarla anche ad avere distacchi autistici dalla realtà, compromessa nella sua lucidità, forse obnubilata, come pure hanno detto, prima, dalla ricerca della sostanza stupefacente e, dopo, dall’assunzione. Cosa si vuole di più?".

Cosa prova una madre ogni volta che torna in un’aula di tribunale dove si celebra il processo per l’assassinio della figlia?

"Dolore: il prolungamento del processo vorrà dire soprattutto questo. Speravo che, con la Cassazione, si potesse mettere un punto almeno sulla vicenda giudiziaria che ha riguardato Oseghale: comunque, da mercoledì scorso, possiamo dire, con certezza, che costui sia l’assassino di Pamela. Una persona che non doveva stare in Italia, uno spacciatore. Un altro sentimento che provo è anche quello della determinazione: questa è una battaglia che stiamo combattendo per tutta la brava gente che ha rivisto in Pamela la figlia, la sorella, l’amica, la nipote".

Qual è stato il momento peggiore di questi quattro anni?

"È difficile dirlo: potrei citare quando, dalla radio, mentre ero al lavoro, ho saputo che quel corpo trovato a pezzi in due trolley nelle campagne maceratesi poteva essere di mia figlia. O quando, all’obitorio di Macerata, non ho potuto neanche darle un ultimo abbraccio: mi avevano detto, infatti, che il corpo si sarebbe potuto sfaldare al minimo contatto. O quando in aula ho visto le fotografie di come era stato ridotto il suo corpo: depezzato in più di venticinque parti, disarticolato chirurgicamente, scuoiato, scarnificato, decapitato, esanguato, lavato con la candeggina ovunque. Ditemi perché? Vuole vedere le fotografie? Forse, pubblicandole, la gente, compresi quelli che ancora parlano come se Pamela se la fosse andata a cercare la fine che ha fatto, si renderebbe conto del punto a cui la diabolicità umana possa arrivare".