Artista aggredito in chiesa, il vescovo Castellucci: "Violenza è aliena. La mostra resti aperta"

Don Erio ha espresso vicinanza all’artista e alla comunità "preoccupata" "Le opere non sono blasfeme, chi vuole vederci del male è libero di farlo L’importante è che il dissenso sia occasione di dialogo e non di accusa"

Carpi, 29 marzo 2024 – Il grave episodio di Carpi è arrivato proprio nel cuore dei giorni più solenni dell’anno liturgico, quelli del Triduo Pasquale. L’arcivescovo Erio Castellucci ha appreso la notizia ieri mattina mentre stava partecipando a una riunione e ne è rimasto particolarmente colpito.

L’arcivescovo Monsignor Erio Castellucci alla messa in Duomo
L’arcivescovo Monsignor Erio Castellucci alla messa in Duomo

Don Erio, qual è il suo sentimento rispetto a un atto così violento?

"Il primo sentimento è di vicinanza all’artista, al quale auguro un pronto e completo ristabilimento. Poi esprimo solidarietà alla comunità religiosa e civile di Carpi che in questa vicenda è giustamente smarrita e preoccupata. La violenza verbale e persino fisica, esplosa nelle ultime settimane, è aliena dal clima che si respira qui. Spero che ora davvero si abbassino i toni, recuperando il buon senso e il rispetto reciproco".

Da giorni la mostra sta suscitando reazioni sempre più accese. Come le ha vissute?

"Non avevo visto la mostra e le opere prima dell’apertura: sapevo peraltro che a Carpi si stava organizzando una mostra di arte contemporanea con i quadri di un artista non credente che si ispira alle narrazioni dei Vangeli e dei testi apocrifi. Quando è scoppiata la polemica, ho voluto comprendere meglio, ho preso i contatti con i responsabili della mostra e ho appurato che non c’erano intenzioni blasfeme o ambigue né da parte dell’autore né tantomeno degli organizzatori. Certo, mi è dispiaciuto che si sia creata la polemica, ma sono dispiaciuto anche per i toni a volte sguaiati che ha assunto. Mi limito a pregare per chi si sente scandalizzato e per chi insulta, offende e attacca, magari in nome della verità cristiana, dimenticando che Gesù ha chiesto ai discepoli di testimoniare la verità nella mitezza".

Perché, secondo lei, in queste opere non c’è blasfemia? Lei come le vede?

"Le leggo in conformità alle intenzioni espresse dall’autore e dai curatori: come un’interpretazione personale e originale ispirata ad alcuni episodi evangelici o apocrifi. Del resto da sempre, a partire dall’iconografia paleocristiana per arrivare ai cantautori contemporanei, gli artisti hanno proposto percorsi e suggestioni di carattere non canonico. Chi vuole vederci del male, comunque, è libero di farlo: l’importante è che il dissenso diventi occasione di dialogo e dibattito e non di accusa e violenza".

Non pensa tuttavia che ci sia stata qualche ingenuità nell’organizzazione della mostra?

"Se, prima della mostra, qualcuno degli organizzatori avesse pensato a queste possibili letture, certamente si sarebbe potuta evitare questa polemica e anche questa amarezza. Ma ora, avendo appurato che l’intenzione non è blasfema, penso che la mostra debba restare aperta per il periodo previsto. La polemica, spesso alimentata ad arte, non è un metodo ecclesiale e non può condizionare le scelte pastorali. All’inizio di giugno a Carpi si terrà – come era stato già programmato da tempo – ‘Il cantiere degli artisti’: la diocesi inviterà gli artisti a confrontarsi su temi religiosi, nello spirito dei cantieri sinodali".

Alla luce di quanto è accaduto, ritenete però che la mostra possa essere sospesa o chiusa anzitempo?

"Se ne parlerà in Diocesi e si prenderà una decisione, in base alla possibilità di garantire una vigilanza attiva sui visitatori. Personalmente spero che si possa tenere aperta, perché chiudere anzitempo significherebbe dare diritto di cittadinanza al fanatismo".

Intanto siamo ormai a due giorni dalla Pasqua. E il suo messaggio pasquale prende spunto proprio da un quadro, la ‘Crocifissione bianca’ che Marc Chagall dipinse nel 1938. Cristo in croce è attorniato da riferimenti alla persecuzione ebraica, ma la croce è investita da una luce, e accanto c’è una scala...

"Come scrivo nel messaggio, per noi cristiani quel fascio bianco, scintillante, è il simbolo della resurrezione che rischiara il buio della morte. A patto di gettare una scala verso la luce".

Perché ha deciso di ispirarsi a questo celebre quadro?

"È un’opera che ho sempre amato, e ne tengo una piccola riproduzione nel mio studio. Ed è uno dei dipinti preferiti da Papa Francesco. Chagall nacque e visse nella cultura della Grande Russia, ma come ebreo dovette affrontare tutte le persecuzioni nella Russia zarista e poi stalinista. E quando lasciò la sua terra, in Europa si scatenò la persecuzione dei nazisti. È un artista in cui si concentrano mondi in guerra che però si pacificano".

E da quel Cristo in croce arriva un grande messaggio...

"Il dipinto ci dice che dalla croce di ogni martire e di ogni persona che muoia per le proprie idee arriva una luce, e tutti noi abbiamo bisogno di attingerla".

C’è poca luce, però, in queste giornate. Ormai si parla di guerra come se fosse la normalità.

"Sono molto preoccupato, soprattutto perché penso che ogni guerra debba essere guardata con gli occhi dei bambini e delle persone più fragili. Ci sono bimbi che crescono nella guerra, vivendo situazioni drammatiche che si imprimono nella loro mente e nella loro anima per tutta la vita: porteranno sempre con loro la sofferenza ma anche il risentimento che finirà per sfociare in altre violenze. Stiamo infrangendo il sogno di Dio che ci ha dato una terra da custodire e coltivare nella fraternità. È una decina d’anni che il Papa parla di terza guerra mondiale a pezzi: ora stanno cominciando a prenderlo sul serio".

Insieme agli altri vescovi della nostra regione, di recente lei ha incontrato Papa Francesco nella visita ‘ad limina’. Cosa vi siete detti?

"Siamo stati con lui un paio d’ore, e lui ci ha chiesto di dialogare anche con franchezza. Abbiamo affrontato vari problemi della Chiesa e delle nostre Chiese locali, a partire dall’annuncio del Vangelo. Il Papa ci ha detto una bella frase: ‘Adesso dovete decidere cosa mettere nel museo e cosa tenere’, ovvero ci ha invitato ad ‘archiviare’ alcune lentezze, alcuni tradizionalismi o alcuni ‘indietrismi’, come li chiama lui. Ci ha esortati a ragionare sempre in termini di orizzonte missionario e a restare sulla strada".

Lei ha confidato di avergli rivolto anche una critica...

"Quando ho potuto rivolgergli la parola, gli ho ricordato le raccomandazioni che lui ha dato a tutti noi vescovi: ci ha indicato di pregare molto, di studiare la scrittura, di stare con la gente e di farci provocare dai poveri. Questi propositi sono bellissimi e scaldano il cuore, gli ho detto, ma sono anche molto difficili perché tutti i giorni noi vescovi ci troviamo sommersi da questioni, polemiche, lamentele. E il Papa mi ha spiazzato".

Ovvero?

"Mi ha risposto: ‘Se vi trovate in mezzo a queste difficoltà e complicazioni, vuol dire che non state chiusi nel vostro palazzo, ma siete in mezzo alla gente. Allora va bene così’. Insomma, ancora una volta il Papa invita a essere in relazione con le persone".