
Delitto all’ex Fazenda. Ucciso a sprangate. Trenta e ventuno anni ai killer di Nico Hozu
Trent’ anni di carcere per l’albanese di 36 anni e ventun anni per il 30enne marocchino - ritenuti responsabili dell’omicidio - e quattro anni e due mesi per Antonio Sebastiano, accusato di estorsione. Si è chiuso con queste pesanti condanne, ieri, davanti alla Corte d’Assise il processo per l’omicidio di Nico Hozu, il 34enne rumeno trovato esanime davanti all’ex ristorante La Fazenda la notte del 24 agosto 2021 e morto dopo un mese di agonia all’ospedale di Baggiovara. Un delitto maturato negli ambienti dello spaccio, così come è emerso dalle indagini.
La procura aveva chiesto 25 anni e mezzo per il marocchino e 30 per l’albanese oltre a otto anni e mezzo per l’italiano, accusato di estorcere appunto denaro agli inquilini abusivi dello stabile in disuso, spesso al centro di blitz delle forze dell’ordine e sgomberi. Dunque, ha retto il castello accusatorio del pubblico ministero Amara e gli imputati sono stati anche condannati al risarcimento, circa 350mila euro alle parti civili, ovvero i fratelli e il padre della vittima.
Secondo le indagini svolte allora dai carabinieri, ad uccidere il giovane era stato l’imputato albanese, che massacrò la vittima a colpi di spranga. Il ‘piano’ diabolico, però, era stato architettato insieme al marocchino che, quella notte, aveva attirato la vittima in un tranello, chiamandola al telefono poco prima dell’incontro. Dopo essere stato colpito alla testa il 34enne era stato abbandonato esanime sull’asfalto: si era pensato negli attimi successivi ai soccorsi ad un ipotetico incidente stradale ma, nel corso del sopralluogo, i carabinieri avevano capito subito che dietro a quelle ferite così gravi c’era qualcosa di più. Subito erano quindi partite le indagini che avevano portato all’arresto dei complici ma anche dell’italiano, accusato appunto di estorsione. Nico Hozu stava cercando di fuggire da quell’ambiente: aveva pianificato il trasferimento a Roma ma il giorno prima della partenza i suoi assassini lo avevano raggiunto e aggredito in mezzo alla strada. "La corte d’Assise ha accolto in pieno la ricostruzione prospettata dal pubblico ministero Dottor Amara, alla quale abbiamo aderito noi difensori di parte civile che rappresentavamo in aula i familiari di questo povero ragazzo. Nico è stato massacrato quella tragica notte di agosto per motivi sostanzialmente futili – afferma l’avvocato Roberto Ghini che, assieme agli avvocati Davide Ascari, Roberta Pasquesi e Alessandro Morselli ha rappresentato i familiari della vittima. Nico stava cercando di crearsi un futuro in Italia – spiegano -; non solo le parole dei familiari ma anche l’esame degli atti ci hanno restituito l’immagine di un ragazzo spensierato, allegro, di buon cuore. Non è stato un processo facile, come facile non è un processo indiziario ma siamo convinti che la decisione della corte di Assise sia quella corretta. Non posso dire che sono contento di fronte a una sentenza di condanna per un fatto così drammatico – afferma ancora Ghini – ma sicuramente sono soddisfatto del lavoro che abbiamo fatto e del contributo che abbiamo fornito durante questa lunga corte di Assise".