Trasparenze, il mestiere dell’attore dal silenzio del bosco alla comicità

Oggi si conclude il festival che ha animato il borgo di Gombola con perfomance fuori dal comune.

Migration

di Lara Maria Ferrari

La sorpresa più grande, per chi viene da fuori Gombola come me e tanti altri, in questi due weekend consecutivi illuminati dalle arti performative e da un’azione festosa e condivisa, è ritrovarsi al centro delle attività di un paese, scoprirsi spettatori residenti, davvero, in mezzo agli spettacoli o tutt’intorno, e non più, soltanto, ad accogliere i gesti o a guardarli, dall’altra parte del palco.

Merito di Teatro dei Venti, che con Trasparenze Festival, giunto all’VIII edizione, ha coinvolto una comunità intera, dimostrando che il teatro non ha confini, di territorio né concettuali, e sa agire ‘come oro tra le crepe’.

Lo abbiamo ben visto nel corso di questo progetto di residenza artistica alla podesteria di Gombola, dieci giornate di bellezza, di prime assolute pensate per il luogo, dove venerdì scorso il festival diretto da Stefano Tè si è aperto con Moby Dick, Premio Ubu 2019 per l’allestimento scenico, ed è proseguito in un fluire ininterrotto di azioni sceniche che ha condotto gli spettatori – viandanti, co-protagonisti, sul sentiero in mezzo al bosco con la compagnia Sanpapié, alla guida di un piccolo gruppo di partecipanti, con la musica in cuffia, in una coreografia adattata allo spazio naturale.

O ancora a un incontro con il coreografo Saul Daniele Ardillo di Aterballetto, che ha aperto alle improvvisazioni di quattro danzatori. Nell’imbarazzo dell’offerta, noi ci siamo fatti cullare dalla musica composta da Nino Rota per i film di Federico Fellini, a cui la Toscanini Next ha reso un commosso omaggio, ripercorrendo quella magica costellazione di capolavori che va dalla Strada alla Dolce Vita, e proiettando nello schermo invisibile della nostra mente Marcello Mastroianni, che vaga solo e insonne nelle lunghe notti romane. Potere delle Trasparenze, che esortano a guardare lontano. Così, anche immaginare di trovarsi nei caruggi genovesi percorsi da De Andrè, a Gombola, non suonava per nulla alieno o distante, trascinati dagli arrangiamenti originali fra il rock e il blues delle canzoni di Faber, nella versione dei giovani e romantici Flexus.

Ma siamo già al capolino. Questa sera, per il gran finale, attraverseremo il mestiere dell’attore, dall’antichità ai giorni nostri, difficili, in due performance. Alle 16 e 17.30, Vittorio Continelli ci porta nel bosco con uno studio sul Mito dal titolo ‘Uomini e dèi - Erigone e Dioniso’, in attesa delle 20, quando Andrea Cosentino metterà in scena ‘Kotekino Riff’, esercizi di rianimazione reloaded con il batterista Igino L. Caselgrandi. Una clownerie gioiosa e nichilista che crea aspettative e le nega, fino a mettere in crisi il ruolo di attore e spettatore, senza altro senso che lo stare al gioco. Una roulette russa di gag sull’idiozia, un fluire sincopato di danze scomposte, monologhi surreali e musica.

Ieri, l’anteprima assoluta di ‘Interno familiare’ di Iaia Forte e Javier Girotto, racconto tratto da ‘Il mare non bagna Napoli’ di Anna Maria Ortese (ore 19 e 21, chiesa del borgo), preceduto, alle 18 nella piazza, dal Teatro dei Venti e il suo ‘Pentesilea’, regia di Stefano Tè. Poi il cantautore Cranchi e la sua band hanno presentano canzoni che sanno di pianura e di fiume, di gente che vede le montagne ma non le ha mai scalate, che sente il profumo del mare ma non lo ha mai navigato.