Caporalato in laboratorio cinese Chiesta condanna della titolare

Il capannone si trova a Cagli, la donna trattava i suoi lavoratori, tutti connazionali, senza diritti né garanzie.

Caporalato in laboratorio cinese  Chiesta condanna della titolare

Caporalato in laboratorio cinese Chiesta condanna della titolare

È stato il secondo caso di caporalato nelle Marche, dopo quello dell’imprenditore Druda di Case Bruciate di Pesaro, titolare di una ditta di infissi, condannato a 3 anni e 9 mesi. Alla sbarra, con l’accusa di aver sfruttato i propri dipendenti, c’è però una donna-caporale, una cinese di 67 anni, che si faceva chiamare "Giovanna", proprietaria di un’azienda tessile con sede a Cagli. Ieri, il processo è arrivato alle penultime battute e l’udienza si è chiusa con la richiesta di condanna per l’imputata a 2 anni di reclusione e 50mila euro di multa. Tutto sarebbe successo nell’arco di pochi mesi, da gennaio a maggio del 2018. In quel frangente, secondo la procura di Urbino, la presunta caporale avrebbe "approfittato dello stato di bisogno dei lavoratori, una 20ina tra pakistani, senegalesi e cinesi, tutti cittadini immigrati richiedenti asilo e protezione internazionale, in cerca di lavoro ed in condizioni di indigenza e di estremo bisogno di lavorare e guadagnare per la sopravvivenza propria e dei familiari rimasti nei paesi di origine". La titolare, continua l’accusa, "li avrebbe sottoposti a sfruttamento lavorativo, facendoli alloggiare in abitazioni di assoluto degrado". La donna era andata in Cina per qualche giorno e al suo ritorno erano scattate le manette. I carabinieri del nucleo dell’ispettorato del lavoro di Pesaro e Urbino l’avevano arrestata all’aeroporto di Fiumicino. Il suo difensore, l’avvocato Massimiliano Tonucci, ha sostenuto che non si possa parlare di sfruttamento perché, a suo dire, i dipendenti non erano in uno stato di bisogno. I lavoratori hanno testimoniato contro l’imputata. Udienza aggiornata per repliche e poi sentenza.

e. ros.