Delitti e sette carbonare, la Pesaro inquieta

L’omicida Isidoro Rossi con le sue rivelazioni alle autorità ebbe salva la vita. Si scopre così il ruolo da cospiratori dei conti Spada

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di Riccardo Paolo

Uguccioni

Il "rivelo" di Isidoro Rossi – di cui abbiamo già scritto (“Delitti politici a Pesaro nell’Ottocento“, 17 aprile) – contiene per gli anni 18461849 non solo il racconto di una serie di omicidi "per ispirito di parte". Rossi, come già raccontato, uccise un povero sarto, Lodovico Grestini, e dopo l’arresto “vuotò il sacco“; alcuni suoi amici vennero fucilati e Rossi venne lasciato libero. Fuggì da Pesaro e si rifugiò a Instanbul e Tunisi (nelle illustrazioni di John Betti, il delitto e la sua fuga dalla città). Rossi non solo raccontò gli omicidi che funestarono Pesaro in quegli anni, ma fece anche la descrizione di una "setta", come si diceva allora, che dava ancora a sé stessa il nome di "Società carbonica". Non si sa esattamente come siano andate le cose, perché una società segreta mira a restare nell’ombra, e soprattutto per la pochezza dello spionaggio (oggi diciamo "intelligence") della polizia. Lo Stato pontificio, del resto, si proclamava assoluto – perché assoluta e non discutibile è la Verità – ma era lontanissimo dalla forza repressiva di uno Stato totalitario di oggi. Fatto sta che l’elezione di Pio IX e l’illusorio equivoco di un papa patriota e liberale scardinano anche a Pesaro, nei tardi anni Quaranta dell’Ottocento, ogni capacità di controllo. Nei mesi dopo il "Benedite gran Dio l’Italia" di Pio IX, che tanto illuse i patrioti, e dopo la concessione della famosa amnistia, in Pesaro e in tutte le città dello Stato iniziano banchetti, feste, tombole, luminarie (in questi mesi Terenzio Mamiani torna dall’esilio, peraltro senza accettare l’amnistia perché di nulla deve farsi perdonare), tutte occasioni per incontri e scambi di idee; e se i partecipanti gridano "viva l’Italia, viva Pio IX" come può la polizia intervenire?

In questo clima riemerge – diciamo così – la setta carbonica. A Pesaro molti si raccolgono, inizialmente senza strepito, attorno al caffè d’Ausonia, e vi acclamano il pontefice. "Ausonia" è un nome classico di Italia, dunque il messaggio è trasparente: ma caffè d’Italia sarebbe parso eccessivo. Quel ritrovo è davanti a sant’Agostino, sotto gli ultimi portici del corso. Di fianco c’è il palazzo Bonamini, dove si apre – con il permesso delle autorità – prima un "gabinetto di lettura" (dove arriveranno i giornali d’Italia, letti con crescente avidità mentre ci si avvia alla guerra d’Indipendenza), poi un Circolo cittadino. Qualcosa del genere accade da Bologna a Perugia, da Camerino a Orvieto, e in breve, lo Stato assoluto non esiste più. Nel Circolo cittadino di Pesaro si inneggia al papa, si sognano i destini federali d’Italia, ci si accorge che il popolo è in larga parte analfabeta e allora si progettano delle scuole "notturne e domenicali di carità". Frequentano il caffè d’Ausonia borghesi, mercanti, possidenti benpensanti, funzionari del governo, ma anche i membri della Società carbonica, che a metà del 1847 è già un’organizzazione di centinaia di giovani divisi in squadre, ciascuna con un capo.

Secondo il racconto di Isidoro Rossi, i conti Alberico, Adolfo e Augusto Spada ne sono il vertice, anzi Alberico è "quello che teneva in Pesaro la così detta trafila, cioè era egli solo avente comunicazione con i capi della Società di altri paesi", e a lui si rivolgevano i carbonari di passaggio; a un certo punto, approfittando delle riunioni per applaudire il papa, in un podere fuori porta Rimini ci fu una riunione generale dove, per ordine dei capisquadra, "convennero tutti gli affiliati per riconoscersi a vicenda, e vi erano gli signori Spada come principali". In tanta concordia qualcosa presto si spezza. Non solo perché Pio IX in un clima sempre più accesamente patriottico non potrà conciliare l’essere re di uno Stato italiano e papa della Chiesa universale, ma anche perché, svanendo la forza dei carabinieri e della polizia, alcune inimicizie personali trovano il momento per emergere sino alle estreme conseguenze.

Nel febbraio 1848 l’omicidio più clamoroso in Pesaro è quello di Giuliano Nicolai. Romano, il Nicolai è in città dal 1831, giuntovi al seguito del cardinal legato Giuseppe Albani che lo impiega come segretario di Legazione, (subito circolano voci secondo le quali sarebbe un figlio naturale del porporato). Sposato con una marchesa Antaldi, manterrà il ruolo di segretario anche presso i successivi legati. È dunque un uomo capace, intrinseco con il potere, non avverso a certe istanze patriottiche (infatti sottoscrive il progetto delle scuole serali e frequenta il caffè d’Ausonia), ma altri lo definiscono "un politicone, un gesuita, un brigante". Progetta di diventare segretario del comune di Roma con l’appoggio invincibile del cardinal Ferretti, già legato di Urbino e Pesaro e in quel momento segretario di Stato: dunque l’esito è certo. Ma nel pomeriggio del 4 febbraio 1848 il Nicolai esce da porta Fano per la consueta passeggiata e si dirige alla suburbana chiesa di san Decenzio, vi prega, poi per vie campestri rientra in città passando sotto porta Curina e proseguendo verso porta Rimini. Da porta Curina un daziere si allontana con un pretesto e lo raggiunge di corsa pugnalandolo alle spalle. Il Nicolai si gira sbalorditi e riceve un secondo fendente nel petto. Morirà poco dopo. Nessun arresto, sebbene l’attentato sia avvenuto in luogo aperto.