Un messaggio in codice. Mandato sulla chat di WhatsApp del suo amico. Ad inviarlo, poco prima di subire l’assalto del 22enne albanese che l’aveva condotta lungo quel sentiero tra gli alberi e i cespugli fuori dalla discoteca Malindi, è stata proprio la giovane vittima del presunto episodio di violenza. Una parola soltanto: una sorta di campanello d’allarme, che i ragazzi e le ragazze che fanno parte del gruppo utilizzano come richiesta di aiuto in momenti di pericolo.
Il ragazzo destinatario del messaggio, tuttavia, si è accorto dopo, quando già era troppo tardi, di quella notifica inviata al suo smartphone. A quel punto l’abuso ai danni della ventenne si era già consumato e lei, dopo essersi liberata dalla presa del suo aguzzino e ad aver raccolto i jeans da terra, era già corsa in lacrime dalle amiche.
Poco dopo, nel parcheggio della discoteca, per un pelo non si è consumata una vera e propria resa dei conti. Il gruppo di amici della ragazza, venuto a conoscenza del fatto, ha affrontato la comitiva di albanesi. Sono volati insulti, minacce, parole pesanti. A un tratto, nel parapiglia, uno dei ragazzi (lo stesso a cui la ventenne aveva inviato il messaggio in codice) è stato raggiunto da un pugno in faccia e da un calcio al sopracciglio destro, sferrati proprio da Metushi, il 22enne albanese finito in manette con l’accusa di stupro. Quest’ultimo è stato arrestato domenica all’alba nella casa di Vallefoglia in cui abita insieme allo zio. Per i carabinieri della tenenza di Cattolica, che hanno interrogato i suoi amici, non è stato difficile rintracciarlo. Un’indagine-lampo, che si è conclusa dopo pochissime ore. Nel frattempo la ragazza si trovava in pronto soccorso: i medici hanno riscontrato ferite alle parti intime, compatibili con la violenza, guaribili in quindici giorni.