La corsa verso il baratro: un anno di disastri

Il caso estivo del budget tagliato, gli americani sbagliati, alcune toppe peggio dei buchi. Così è nato il capolavoro al contrario

La corsa verso il baratro: un anno di disastri

La corsa verso il baratro: un anno di disastri

"Ei fu. Siccome immobile, dato il mortal sospiro, stette la spoglia immemore, orba di tanto spiro. Così percossa, attonita, la terra al nunzio sta". Il 5 maggio della Vuelle si è compiuto a Venezia con una retrocessione amarissima, ma non inaspettata per come si erano messe le cose. Per oltre un decennio, come un equilibrista che cammina sul filo del rasoio, il club pesarese era sempre riuscito ad arrivare dall’altra parte del precipizio fra brividi (cinque volte penultima nel 2013, 2014, 2015, 2017 e 2018) ed un evento impensabile, la pandemia che nel 2020 annullò il campionato in cui Pesaro vinse una sola partita. Nel 20/21 qualcosa cambia, arriva Repesa e si raggiungono le Final Eight, rischiando però di nuovo grosso e chiudendo al 13° posto, con Roma che si ritira riducendo le retrocessioni ad una. Nel 21/22 si sbaglia di nuovo tutto con Aza Petrovic e i brasiliani, poi per fortuna arriva Banchi che prende per la coda i playoff e regala finalmente una primavera gloriosa. Nel 22/23 ecco la stagione capolavoro con la doppietta di Repesa II, finali di Coppa Italia e playoff. Sembra l’inizio di una nuova era, il peggio è passato, finalmente si ricomincia a fare sul serio, Pesaro è tornata dove deve stare, complimenti da tutta Italia e via che si riparte. Invece no. In estate qualcuno nel Cda pensa bene (anzi male) di ridurre drasticamente il budget per saldare in un’unica soluzione un debito con l’agenzia delle entrate che si poteva tranquillamente dilazionare in più rate, come hanno fatto le altre. Quando il diesse Cioppi denuncia la riduzione del budget in un’intervista al nostro giornale viene ’cazziato’ dal suo stesso club perché sta per partire la campagna abbonamenti e quella dichiarazione potrebbe spegnere l’entusiasmo. Ma i tifosi hanno già capito dopo lo scioglimento del contratto triennale da parte di Repesa che qualcosa non va. Il risultato è che, con i contratti degli italiani a crescere (e nonostante la dolorosa rinuncia a Moretti), per gli americani rimane poca roba a disposizione. Spesa, fra l’altro, malissimo. Puntando tutto su Scott Bamforth ormai a fine corsa e abbandonando la pista Jordan Howard, più giovane e atletico. Al suo fianco arriva un play che non è un play come McCallum, ma dal pedigree che fa rumore e poi il resto del pacchetto Usa si compra con gli spiccioli: Bluiett e Ford, quasi 30enni dalla carriera anonima e un pivot improbabile come stazza, oltretutto con problemi fisici che lo portano presto al taglio. Al suo posto si lancia Totè, che risponde con numeri così clamorosi da far pensare che possa andar bene così.

Poi viene giubilato McCallum ed ecco Cinciarini, un ritorno gradito, che però sarebbe stato molto meglio prendere in estate che a dicembre per affidargli la squadra. Il terzo Usa cambiato su cinque, Bamforth, si toglie da solo da una situazione scomoda lasciando la squadra per gravi problemi familiari, salvo fimare 15 giorni dopo a Granada. Restano i peggiori, Bluiett e Ford. E le pezze cucite in corsa, McDuffie e Wright-Foreman, per dare a Sacchetti un roster più in linea con la sua filosofia, stavolta non bastano. Una squadra che si vuol salvare non può prescindere dalla difesa. Per questo la scelta di Sacchetti è stata ancor più anomala dell’ultima, quella di Love.

Elisabetta Ferri