
Nel Salone Metaurense l’incontro coi familiari degli ex internati nei campi di concentramento . Consegnata agli eredi la medaglia d’onore alla memoria dei 12 italiani deportati.
"In memoria del mio caro padre". Ha esordito così l’85enne Gianfranco Tombari, rispondendo all’invito del Prefetto, Emanuela Saveria Greco di rievocare la figura di Alberico Tombari, classe 1909, sottufficiale di marina catturato a Pola dai nazisti e internato nel lager di Bezeichnung Stammlager III B di Francoforte, dal 10 settembre 1943 al dicembre 1944. Per Gianfranco Tombari parlare di suo padre lo commuove ancora oggi. Non l’ha mai conosciuto se non nei racconti di sua mamma e nelle testimonianze di qualche reduce, mentre se ha saputo cosa accadde è perché la zelante burocrazia nazista lo dettagliò nell’atto di morte. "Torturato, denudato e costretto a fare la doccia all’aperto con 20 gradi sotto zero, morì di polmonite. Il suo corpo venne abbandonato nella selva perché venisse dilaniato dagli animali del bosco".
"Come sottoufficiale era adibito al lavoro coatto, utile per l’economia bellica trattato con rispetto" così era scritto. "Non era vero: mio padre era sfruttato – ha sottolineato con forza al microfono, Gianfranco Tombari –. Costretto a un lavoro durissimo, tribolando per il freddo, la fame e le umiliazioni quotidiane". Un rispettoso silenzio è sceso quando Tombari ha rivelato la ragione che scatenò la furia nazista: un’ispezione a sorpresa fece scoprire una pagnottina di pane nella sua tasca. Non l’aveva mangiata subito per terminare il lavoro che i nazisti gli avevano assegnato. "Quando morì il 18 dicembre 1944 aveva 35 anni – ha detto Tombari –. Venne torturato con sadismo. Al cimitero la sua tomba è vuota: Non c’è riuscito, nonostante l’impegno, di dargli una degna sepoltura. Mi madre, vedova dall’età di 27 anni, ha sempre onorato la sua memoria. Mio padre si è immolato per la Patria".
Tutti i racconti degli ex internati militari, riportati dai familiari, hanno rappresentato per la vasta platea composta da autorità, studenti e semplici cittadini un monito sulla ferocia. Il calore dei ricordi ha ragalato una condivisione di rara umanità. Una dietra l’altra sono emerse anche le storie di i Bruno Albertini; di Gennaro Arduini; di Arnaldo Baldini; di Angelo Di Orazio; Emilio Gasperini; di Pasquale Lorenzi; di Giuseppe Michelacci; Armando Vitali e di Guido Zonghetti. Di volta in volta il prefetto, uno studente delle scuole superiori e il sindaco della città di residenza hanno consegnato ai familiari la medaglia d’onore alla memoria dei 12 italiani, deportati nei lager nazisti. Quando è stato il momento di Zonghetti a celebrarne la memoria sono arrivati, tutti insieme, i cinque nipoti orgogliosi di quel nonno che "eroicamente – ha detto il nipote Paolo – non accettò di entrare a far parte della Repubblica di Salò. Dobbiamo, al tuo sacrificio, la nostra libertà". Di Baldini, in patria tornò solo una valigia. Nel 1950, dopo i vani tentativi della figlia Liliana di ritrovare il corpo del padre, venne dichiarata la morte presunta. "Spero – ha detto il nipote di Arnaldo Baldini, Paolo – che questa medaglia possa lenire il tormento di mia madre Liliana".
La cerimonia ieri è stata impeccabile: toccante ed autentica in ogni sua parte. Dall’inno di Mameli scandito all’inizio agli sguardi dei bambini della primaria, coinvolti dai racconti degli adulti perché carichi di sentimento e non di retorica. Davanti al rischio di una pressione negazionista o revisionista molti hanno preso parola ieri dimostrando un proprio attivismo, a tutela della memoria della Shoah e dei giusti. I musicisti del conservatorio Rossini hanno mosso la riflessione scegliendo pezzi importanti quali “4minuti e 33“ di John Cage: un brano in cui gli strumenti restano in silenzio, eseguito in protesta dell’esibizione coatta che i nazisti imposero ad artisti inermi e indifesi. Anche il Prefetto Greco ha donato una propria esperienza personale: un videoviaggio della memoria fatto ad Auschwitz, molto interessante e utile alla sensibilizzazione a cui tutti siamo chiamati.