Volponi, tutte le strade portano a Urbino

Viaggio nei luoghi, le vie, le piazze raccontate dal grande scrittore urbinate che non dimenticava mai nei suoi libri gli "itinerari di casa"

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di Gianfranco Sanchioni

Casalinghe sottomesse, prostitute sofferenti ma anche contadini disperati e operai alienati. Sono alcuni degli uomini e le donne protagonisti dei libri dello scrittore urbinate Paolo Volponi, che amava far ’camminare’ le sue storie lungo le strade di campagna e di città, strade bianche, asfaltate, selciate con sampietrini, piazze cittadine, oppure campi erbosi. Si parte da Porta Santa Lucia a Urbino, dove stazionava da secoli il negozietto della Pennabianca, la più povera bottega di città, con la frutta che si appassiva abbandonata alle vespe. Passava da lì Guido Corsalini de “ La strada per Roma”. Sarà questo il leitmotiv del romanzo; tutto finito, marcio, tutto da rifare. Troppo in discesa come quella strada di Lavagine che Guido vedeva dall’infinito dei tetti della sua camera. E giù in quelle anse del calmo fiume Metauro di fianco alla strada statale 73 bis per la Toscana.

Il Volponi innamorato che ci porta intimamente in macchina con Guido e l’ambita Cancellieri, a tutta velocità in quella strada Adriatica da Pesaro a Fano, tra canneti e amore.

Ci farà sempre immaginare un fruscio naturalistico invece, nelle strade polverose di breccia bianca a Cerqueto Bono. Quelle delle coste in salita prese di petto dai caparbi contadini che lavorano faticosamente la terra con il ’voltaorecchio’. Saranno anche queste le strade di Volponi.

Poi la Piazza del Popolo di Pesaro dell’agguerrito maestro Ettore con un seguito di agricoltori, che vanno alla Federterra per farsi arrivare l’acqua in casa. Come quella via Nazionale a Roma quasi deserta, descritta silenziosa e metafisica, esattamente come l’avrebbe dipinta De Chirico, fino a quella strada di Valbona, ne “ Il sipario Ducale”, percorsa nervosamente dalla croce del cimitero fino alla piazza asfaltata del Mercatale, da quei due anarchici per bene, il disoccupato professor Subissoni e la compagna spagnola Vives Guardajal. Sarà da quel Caffe, che apprenderanno della strage di Piazza Fontana a Milano.

E la discesa del Pincio di Urbino, con la solennità della Mercedes di Oddi e del suo autista Giocondini fino ad entrare nella statale per Fano e infilarsi in quel bordello della vamposa e variopinta prostituta Leoparda. Scoprirvi inaspettatamente quell’amore per la giovane governante Dirce. La strada dell’amore che non ti aspetti, ma che per Volponi esiste sempre da qualche parte. Non meno piena di preoccupazioni la strada di Albino Saluggia, ne “ Memoriale”, da Torino a Candia Canavese. Il giovane finalmente operaio, descritto nei suoi sogni in corriera. La Flaminia dell’adolescente Damin all’altezza di Fossombrone, ne “ Il lanciatore di giavellotto “, che si perderà tra gli affetti, i dolori, i pregiudizi e le barriere sociali

della provincia italiana. Fino a quel poetico “ Giro dei debitori” urbinate de Le porte dell’appennino di Poesie e Poemetti.

Ancora un Paolo Volponi nelle strade della provincia estrema pesarese, tra San Savino e Frontone, in quei calanchi tra Monlionee Acquaviva, da Pergola passando per Pantana e Bellisio Solfare fino a Serra Sant’Abbondio. Sarà in queste strade de “La macchina mondiale” che spacchetterà l’utopia di Anteo Crocioni, in quel cervellotico trattato con gli uomini. E l’ultimo Volponi, che affonda nelle strade estreme di quella illusione storica de “Le mosche del capitale”. Le strade dell’industria, della finanza, del potere e del grottesco. La consapevolezza di quell’ideale mancato di democrazia industriale.

Ma mai toccante come la strada percorsa con la corriera verso quella apertura che da Urbino porta sulla piana del fiume Metauro a Canavaccio. Dove la gente degli anni cinquanta, passeggiava ai lati della strada poco asfaltata con i ragazzi dai fazzoletti rossi e le giovani con un tessuto celeste o nero. Tutti seduti sulle spallette dei ponti ad aspettare le motociclette, sotto lo sguardo amorevole di quel dorsaccio del Pietralata da dove si scorgevano gli alpeggi e finivano le avellane. Forse era proprio questa la strada più commovente. Quella per Roma.