Cavallerizza, una storia lunga due secoli

di Carlo Raggi A metà degli anni Cinquanta nella vasta area dietro alla Cavallerizza in macerie c’erano ancora sei file di baracche in legno montate nell’immediato dopo guerra per dare una casa agli sfollati, a chi aveva avuto la propria distrutta dalle bombe. Erano molteplici le zone di Faenza occupate dalle baracche, Piazza d’Armi, via Paradiso, via Ponte Romano: le ultime furono smontate nel ’62 con la costruzione di ulteriori case popolari nella zona di Porta Imolese. Hanno una storia lunga più di due secoli la Cavallerizza e l’area retrostante, l’attuale piazza Dante, che si coniuga con la storia del ‘sobborgo Marini’ in cui erano inserite. Un settore urbano oggi al centro dell’attenzione della comunità locale. È oltre un anno che la recinzione da cantiere, a pannelli modulari, circonda il parco, poco meno di cinquemila metri quadrati, una trentina di alberi, i più longevi dei quali hanno oltre 60 anni. Una misura necessaria in attesa che i tecnici dell’Amministrazione comunale mettano a punto un progetto (collegato alla ‘rivisitazione’ della stessa Cavallerizza) che in qualche modo possa incidere sulla trasformazione subita nel tempo dall’area, da luogo di svago a luogo sia di spaccio sia soprattutto di degrado generalizzato. Un problema comune a molte aree verdi di ogni città, basta ricordare i giardini Speyer a Ravenna, punto di crisi per lunghi anni, fronte di interventi fatti di telecamere, illuminazione, animazione, ma risolta, in parte, (essendo stata esclusa la recinzione) grazie ai quotidiani energici presidi di quattro forze di polizia coordinate, e che tuttora continuano, con i divieti di portare bottiglie e con i daspo (presidi ovviamente possibili solo in città con buoni organici di personale in divisa). La Cavallerizza fu costruita nel 1864 su un terreno che il Demanio militare ebbe in regalo dal Comune: il governo pontificio era stato sconfitto e il Regno volle consolidare i territori con la riattivazione delle caserme che erano state operative nel precedente periodo dell’occupazione napoleonica: in nome della laicità, i francesi avevano infatti ‘confiscato’ gran parte dei conventi. Così a fine 800 in città erano operative tre caserme, due di cavalleria, negli ex conventi di San Domenico (intitolata al generale Filippo Severoli) e di San Francesco, e una di bersaglieri ciclisti nell’ex convento di Santa Chiara, ovvero la caserma ‘Raffaele Pasi’, negli anni 80 recuperata a sede di uffici comunali. La Cavallerizza, che altro non era che ricovero dei cavalli e maneggio al coperto, serviva appunto a tenere in esercizio i militari. All’epoca, a due passi, nell’attuale via Caldesi sorgeva la prima stazione ferroviaria faentina (spostata più a monte nel 1895). Il vasto terreno dietro al fabbricato, delimitato a nord-ovest dal canal Naviglio, interrato quando negli anni Trenta fu costruito il Cavalcavia, era al servizio dei cavalli per le sgambature e per il mercato del fieno e della paglia. Agli inizi del 900 quell’area fu prescelta dal Comune, unitamente a quella del brefotrofio ‘Esposti’ adiacente a Santa Maria ad Nives, per costruire quelle che sarebbero state le prime case popolari di Faenza, tutte casette unifamiliari. Ma il ministero dell’Interno si mise di traverso. Nel 1923 il Prg previde che quel terreno libero, che già aveva assunto il nome di ‘piazza Cavallerizza’, venisse trasformato in giardino pubblico, al pari dell’area davanti alla chiesa di San Francesco, a uso degli abitanti delle case che la Cooperativa braccianti andava costruendo in tutta la zona. Un’area che, essendo vicina alla stazione, subì devastazioni per i bombardamenti del 1944, ad iniziare da quello del 2 maggio: con le case fu colpita anche la Cavallerizza le cui lesioni saranno visibili fino al maggio del 1973 quando, acquisita dal Comune (ne era proprietario il Demanio militare), iniziarono i lavori per ricostruirla e adibirla a palestra. L’area retrostante era già alberata: liberata dalle baracche degli sfollati a fine anni 50, era stata trasformata in un parco con l’unica ferita (peraltro ancor più stridente perché a due passi c’era un rinomatissimo ristorante, poi trasferito in periferia) data dai ruderi della Cavallerizza. Aperta come palestra nel ’74, da anni il collegato fabbricato che ospita docce e servizi appare malridotto per cedimenti del terreno. Curare la complessiva ferita dovrà comunque passare attraverso la totale rivisitazione, in prospettiva estetica, dell’intero sito, strade, parcheggi e cassonetti compresi.

Cavallerizza, una storia lunga due secoli

Risalgono all’800 le origini dell’assetto della zona, teatro da anni di fenomeni di degrado e in attesa della riqualificazione