
L’artista Gianluca Costantini e la mostra di ritratti a cielo aperto in piazza Kennedy sui femminicidi: "Ogni storia lascia il segno"
Fino al 22 maggio in piazza Kennedy a Ravenna, sarà possibile visitare l’installazione artistica sui femminicidi creata da Gianluca Costantini, che da sempre combatte le sue battaglie civili e umanitarie attraverso il disegno. nell’ambito dell’edizione 2025 del ‘Festival delle culture’. L’opera, inserita nel cartellone di eventi dell’edizione 2025 del ‘Festival delle Culture’, si intitola ‘Ci sono amori senza paradiso’ e prevede il progetto di allestimento dell’architetto Alberto Cervesato.
Che tipo di opera è ‘Ci sono amori senza paradiso’? Com’è nata e cosa vuole comunicare?
"È un’installazione artistica pubblica, uno spazio pensato per essere attraversato fisicamente ed emotivamente. Nasce dalla volontà di rendere visibile ciò che spesso resta confinato nei titoli di cronaca o scompare nei numeri delle statistiche. Volevo creare un luogo della memoria, ma anche un atto urgente e politico: la violenza contro le donne non è mai un fatto privato, è una ferita collettiva. L’arte può essere un giornalismo visivo, una narrazione che tocca il cuore prima della mente".
Ha già portato in giro per l’Italia questo tipo di installazione?
"Il lavoro ha preso vita nel 2024 durante il festival ’Vicino/Lontano’ di Udine e sta ora iniziando il suo cammino. A Ravenna trova una nuova tappa, in dialogo con la piazza e la comunità che la accoglie. Ogni volta si adatta al contesto, perché ogni città ha un suo modo di ascoltare, di guardare, di ricordare. Questo progetto non vuole diventare monumento, ma rimanere esperienza viva, ‘a tempo determinato’, come la vita che racconta".
Quanto è importante oggi la parola ‘femminicidio’ e dare un volto alle vittime?
"È fondamentale. Le parole non sono mai neutre: creano mondi, relazioni, consapevolezza. ‘Femminicidio’ nomina una realtà che è esistita da sempre, ma che solo da poco abbiamo avuto il coraggio di riconoscere per quello che è: la violenza strutturale contro le donne. Dare un volto alle vittime significa restituire loro dignità, umanità, memoria. Non possiamo accettare che vengano cancellate due volte: prima dalla violenza, poi dall’oblio".
Chi ha ritratto e perché?
"Ho scelto di ritrarre volti di donne uccise, cercando sempre il rispetto, mai la spettacolarizzazione del dolore. Volevo che ogni ritratto fosse una presenza e un’assenza insieme: il sorriso, lo sguardo, la vita che era e che è stata interrotta. Questi volti compongono una geografia emotiva, una mappa di esistenze che chiedono di essere ri-cordate, cioè riportate al cuore".
Al centro dell’installazione l’ultima telefonata di Giulia Cecchettin. Il suo omicidio l’ha colpita più di altri?
"Ogni storia colpisce, ogni volto lascia un segno. Ma la telefonata di Giulia ha qualcosa di disarmante: è una voce che chiede aiuto, un grido che tutti abbiamo ascoltato e che rende impossibile voltarsi dall’altra parte. Portare quella voce al centro dell’installazione significa riconoscere il fallimento di una società che troppo spesso non sa proteggere, non sa ascoltare. È anche un invito a non dimenticare, a non anestetizzarci".
Roberta Bezzi