CARLO RAGGI
Cronaca

Davide Bombardi, l’allenatore postino: "In centro storico conoscevo tutti. E insegnai calcio a mister Ballardini"

Per trent’anni, in bicicletta, ha distribuito lettere e raccomandate in case e uffici nel cuore di Ravenna. Un lavoro condiviso con la passione per il pallone che lo ha visto far crescere un migliaio di giovani.

Davide Bombardi, l’allenatore postino: "In centro storico conoscevo tutti. E insegnai calcio a mister Ballardini"

Davide Bombardi, l’allenatore postino: "In centro storico conoscevo tutti. E insegnai calcio a mister Ballardini"

Per trent’anni ha distribuito la posta nelle case e negli uffici in centro, a cominciare da quando il postino andava a piedi o in bicicletta, conosceva tutti e di tanti era amico e confessore; un lavoro condiviso con la passione del calcio, all’inizio come giocatore poi per mezzo secolo allenatore. Mille i ragazzi cui Davide Bombardi ha insegnato prima ad affrontare la vita poi a giocare a calcio, a cominciare dal Russi all’epoca al vertice in Italia come incubatore di campioni, poi nella scuola calcio di Mandorlini e all’Azzurra. Ma Bombardi è anche altro: orfano del padre morto in guerra nel ‘43, da 32 anni è presidente dell’Associazione famiglie caduti e dispersi in guerra e per anni ha portato centinaia di adolescenti della ‘Novello’ in visita ai luoghi della memoria, da Caporetto alla risiera di San Saba, da Redipuglia a Marzabotto a Mauthausen: nel 2009 il presidente Giorgio Napolitano l’ha nominato cavaliere al merito della Repubblica.

Lei si emoziona a ricordare i tanti ragazzi cui ha insegnato il calcio…

"Oh sì perché prima che allenatore, per loro sono stato amico, genitore, psicologo, ho sempre cercato di conoscere a fondo i bambini per comprendere i loro atteggiamenti e magari correggerli e ho sempre cercato di far capire come lo sport, prima che agonismo, è amicizia. Sì, mi emoziono perché nessuno dei mille ragazzi che ho allenato è finito su brutte strade e per me questo è un grande merito. Non dimentichi che quando ho iniziato si stava diffondendo il consumo di droga e molti ragazzi poi morirono…".

E poi lei i buoni risultati li ha conseguiti anche sul campo...

"Cantava Morandi che ‘uno su mille ce la fa…’ io posso dire anche più di uno, sui mille che ho fatto crescere come calciatori, sono ben quindici quelli che hanno raggiunto ottimi risultati nei professionisti, fino alla serie A".

Lei, mi diceva, è orfano di guerra, mi dica di suo padre, della sua famiglia…

"Prima voglio dire che proprio non avrei mai pensato di rivivere oggi momenti come quelli del ‘44-‘45, vedere in tv le città distrutte, le mamme che piangono e stringono i figli mentre i mariti sono al fronte, muoiono. Mi ci ritrovo, io, mia sorella, mia mamma Maria sotto ai bombardamenti…Che angoscia, che impotenza! Il babbo, Pio, è morto a Orano, in Algeria, il 5 ottobre del ‘43 ed è sepolto al sacrario dei caduti d’oltremare a Bari. Avevo 3 anni, non ricordo niente di lui. Abitavamo a Dovadola, la mamma era bidella all’Avviamento dove poi ho studiato. Pensi che anche il fratello del babbo, Primo, era morto in guerra, nel 1918. Era andato volontario alpino a 16 anni".

Quando siete emigrati nel Ravennate?

"Nel ‘56. Ci siamo trasferiti a San Pietro in Trento dove dopo il matrimonio era venuta ad abitare mia sorella. E per due-tre anni ho fatto il bracciante alla Bassona, ma risultava che lavorasse la mamma così ha potuto raggiungere i 15 anni di contributi per la pensione. Lei non ce l’avrebbe fatta per via dei dolori alla schiena… Poi sono stato assunto alla Cmc e ho lavorato anche nel cantiere dell’Anic ormai ultimato. Nell’agosto del ‘63 sono approdato alle Poste, una lunga trafila…".

Racconti…

"Mi rivolsi al preside dell’Avviamento a Dovadola, lui conosceva me e la mamma…chiesi un aiuto per le Poste, non volevo più fare il muratore. Lui scrisse una lettera al direttore delle Poste di Forlì e questi mi mandò da un sindacalista della Cisl, Mario Volta. E fui assunto a Ravenna".

Con quale mansione?

"Dapprima fattorino, poi postino, in pieno centro, sempre in bicicletta con due borse di posta, fino a 80 chili e un centinaio di raccomandate. Nelle mie strade c’erano tantissimi uffici e professionisti e quindi fra lettere, libri, giornali la posta da distribuire era tantissima…mica come oggi! Fino agli inizi degli anni 70 si lavorava anche di sabato e si era pagati a cottimo".

L’arrivo del postino era l’occasione per due chiacchiere…

"Certo, noi conoscevamo tutti, la consegna della posta era l’occasione per parlare, c’era chi raccontava i propri guai. Pensi anche che se non trovavo nessuno in casa per la raccomandata mica lasciavo l’avviso…no, ripassavo e prima o poi qualcuno trovavo. Per tanti ero diventato uno di famiglia… Per sei mesi lavorai anche a Faenza, in Borgo! E le dirò che a Natale fioccavano le mance, più dello stipendio! Ah, sa cosa mi viene in mente…la neve! Ci furono alcuni inverni negli anni 60 in cui si facevano anche 30-40 centimetri di neve e io rimanevo a Ravenna e dormivo sul biliardo nei locali delle Poste centrali, mica potevo tornare a casa a San Pietro in Trento in moto".

All’epoca lei giocava già a calcio…

"Dal ‘48, quando ancora ero a Dovadola, a 8 anni militavo nei pulcini, poi a Ravenna ho giocato nella Libertas, fino al ‘67, quando mi sono sposato con Maria Luisa Mattioli, la conobbi all’Endas di Lugo dove andavo a ballare. Abbiamo preso casa a Ravenna e abbiamo avuto tre figli, Vidmer e due gemelli, Denis e Myriam. Purtroppo Myriam è morta qualche anno fa…".

Dove ha iniziato ad allenare?

"All’Audace di San Pietro in Trento, per due anni. Fra i ragazzini che allenavo c’era Davide Ballardini, oggi è il mister del Sassuolo, poi nel ‘76, grazie a Germano Balestrucci entrai nel Russi del presidentissimo Lino Dalla Valle. E ci sono rimasto per ventun anni sempre sul fronte giovanile: pulcini, esordienti, giovani e allievi. Alcuni di loro hanno raggiunto la serie A come i due ravennati Gianluca Ricci e Damiano Longhi diventati capitani del Padova e del Bari. Dalla Valle fece il diavolo a quattro perché il Modena, cui li aveva ceduti, li tenesse per farli crescere…".

E dopo il Russi?

"Per 8 anni ho allenato alla scuola di calcio di Mandorlini al Dribbling, poi per 19 anni all’Azzurra e da entrambe sono usciti ragazzi diventati poi professionisti. E ho un record, quello di aver allenato fino alla terza generazione nella famiglia Battistini: il nonno, nel Russi e poi il figlio e il nipotino, un 2013, a Ravenna. Col Covid, ho smesso".

Oggi sui campi si assiste spesso a deprecabili azioni violente dei genitori…

"Sta cambiando tutto, come accade anche nelle scuole dove i genitori aggrediscono i professori se danno un brutto voto al figlio. Allucinante! Con i ragazzini ho avuto sempre un rapporto ben oltre l’allenatore, per farli crescere bene nella vita. E li ho anche ripresi, con severità".

Conclusa l’esperienza sportiva lei è in piena attività su un altro fronte…

"Dal ‘94 sono il presidente dell’Associazione famiglie Caduti e dispersi in guerra, mi hanno rieletto nel 2021. Per anni con la collaborazione di alcune insegnanti della ‘Novello’, per gli studenti di terza media ho organizzato visite nei luoghi simbolo delle tragedie delle due guerre mondiali. Andavamo in pullman, poi le responsabilità sono diventate troppe e non lo facciamo più. Andiamo solo noi adulti".