Omicidio Minguzzi: "Nel manuale del carabiniere nodi simili a quelli mortali"

Omicidio Minguzzi: per il medico legale c’è analogia tra le modalità del delitto e le immagini trovate nell’armadietto di un imputato

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Prima di essere gettato nel Po di Volano, Pier Paolo Minguzzi era stato incaprettato a una pesante grata metallica grazie a un articolato sistema di nodi. Nell’armadietto di uno dei due ex carabinieri ora sotto accusa – il 57enne Orazio Tasca – era stato trovato un piccolo manuale di bondage (pratica di immobilizzazione di un partner consenziente) con una orecchietta segna-pagina proprio sulla tecnica dell’incaprettamento. La relazione? "C’è analogia sotto l’aspetto dinamico: dal vincolo al collo alle legature".

La risposta, immagini del manuale alla mano, è giunta direttamente dalla bocca di chi 34 anni fa aveva eseguito l’autopsia per poi riprendere in mano i resti della vittima dopo la riesumazione del luglio 2018 contestuale alla riapertura del fascicolo. Un caso più unico che raro quello toccato al professor Giovanni Pierucci, all’alba dei suoi 90 anni di corporatura minuta ma con una statura scientifica immensa e difficilmente raggiungibile nel panorama nazionale della medicina legale. "La mia prima autopsia risale al 1957", ha chiarito lui stesso non senza auto-ironia sulla sua "purtroppo molto lunga esperienza". E la sua vita professionale meriterebbe certo più di un’ampia digressione se il contesto non fosse quello della corte d’assise di Ravenna in corso per l’omicidio del giovane Minguzzi, 21enne studente universitario e carabiniere di leva a Bosco Mesola, rampollo di una famiglia di imprenditori di Alfonsine dell’ortofrutta sequestrato la notte del 21 aprile del 1987 mentre rincasava e ammazzato subito dopo.

Torniamo allora alle conclusioni autoptiche che il professor Pierucci aveva tracciato 34 anni fa: "Già allora prevalevano i fenomeni cadaverici trasformativi", ha esordito alludendo al fatto che il cadavere del ragazzo fosse riemerso una decina di giorni dopo il rapimento. In ogni modo la causa di morte va "sicuramente individuata in una asfissia". Non un annegamento, scenario smentito "dalla ricerca di diatomee", alghe unicellulari che "nel vivente entrano nel circolo fino al midollo e qui non furono trovate". Ma uno "strangolamento: la vittima è stata costretta con un laccio al collo che ha lasciato tracce nei tessuto molli di un soggetto ancora in vita". Minguzzi insomma era stato portato nel casolare abbandonato in località Vaccolino da cui era stata sradicata la grata poi usata per zavorrarlo: e lì era stato incaprettato con una "corda raddoppiata e confezionata a nodo scorsoio".

L’autopsia aveva inoltre messo in evidenza "un po’ di infiltrazione sotto al periostio", membrana che ricopre anche le ossa craniche: "Con alta probabilità fu dovuta a una contusione da corpo contundente", situazione che "può documentare un’aggressione preliminare" come a "volere stordire" la vittima. Del resto "la consulenza tossicologica aveva escluso la presenza di farmaci, etere e cloroformio" restituendo solo una bassa quantità di alcol e un po’ di caffeina. Pochi dubbi pure sull’ultimo depistaggio: "Lo scopo di buttare un cadavere in acqua è quello di ritardarne il rinvenimento o di equivocare con l’annegamento". L’ultima considerazione è arrivata per la figura estrapolata dal manuale di bondage con quel "doppio laccio al collo che può condurre alla morte" e così tanto simile al sistema di lacci che aveva ucciso il Minguzzi.

"Avevo visto alcune volte i due carabinieri ma ho un vago ricordo su chi fosse a venire di più a casa", ha precisato Loredana Insogna, 60enne all’epoca moglie di uno degli imputati – l’idraulico del paese Alfredo Tarroni, oggi 65enne – alludendo a Tasca oltre che ad Angelo Del Dotto, oggi 58enne. La donna al tempo aveva detto – come le ha ricordato il pm Marilù Gattelli (foto sotto) – di avere visto molto più spesso il Tasca il quale, secondo quanto riferitole al tempo dall’ex marito, "qualche volta era andato a dormire a casa sua". La relazione tra i due coniugi, già segnata da una separazione del luglio 1986, era approdata a formale annullamento del matrimonio quando Tarroni, assieme a Tasca e Del Dotto, era stato condannato per la tentata estorsione a un altro imprenditore di Alfonsine, Contarini, sfociata nel luglio del 1987 nell’uccisione del giovane carabiniere Sebastiano Vetrano.

Andrea Colombari