Maria Paola Patuelli "Il femminismo: unica rivoluzione senza violenza e senza armi"

Trent’anni di insegnamento della filosofia, 20 anni in consiglio comunale, 7 come assessore alla Cultura "Nel 2005 con Scalfaro iniziai un lavoro a livello nazionale fondando l’associazione ‘Salviamo la Costituzione’".

Maria Paola Patuelli  "Il femminismo: unica rivoluzione  senza violenza e senza armi"

Maria Paola Patuelli "Il femminismo: unica rivoluzione senza violenza e senza armi"

Carlo

Raggi

I genitori partigiani, dogmaticamente comunisti, il padre uomo d’orchestra, di teatro, di politica e lei, Maria Paola Patuelli, non poteva che sviluppare fin dall’adolescenza l’impegno, eticamente inteso, per la politica, politica come professione, per dirla con Weber e mai come funzionario di partito. Tanti i conflitti ideologici col padre che mai condannò il sanguinoso imperialismo sovietico. Trent’anni di insegnamento della filosofia, 20 anni in consiglio comunale, sette come assessore alla cultura con traguardi fondamentali dalla ristrutturazione della ‘Classense’ alla straordinaria diffusione dell’interesse per il teatro; poi l’impegno civile come modo diverso di fare politica, l’iniziativa, sull’onda del ‘Resistere, resistere, resistere’ di Borrelli, del Comitato in difesa della Costituzione tradotto in organismo nazionale assieme a Oscar Luigi Scalfaro. Autrice di due saggi, ‘Polvere e perle’ e il recentissimo ‘1989’, che sondano la storia della famiglia e di sé, Maria Paola Patuelli costruisce narrazioni muovendosi sempre con disinvoltura nel grande mare della cultura classica, moderna, contemporanea.

A sua madre, Silvia Bazzocchi, lei ha dedicato un bel libro, ‘Polvere e perle’…

"La mamma entrò nella Resistenza a vent’anni e nella Resistenza si era innamorata, era fidanzata con Mario Gordini che i fascisti fucilarono il 14 gennaio 1944. Quando nacqui erano passati appena tre anni da quel giorno; la guerra, le giunte popolari che videro impegnata la mamma, tutto era ancora cronaca…" Dove si incontrarono Silvia e suo padre, Nello?

"Proprio nelle giunte popolari, delle quali Nello era responsabile. E si sposarono".

Genitori comunisti convinti, forse dogmatici…

"Per loro il comunismo equivaleva a un salto antropologico, non poteva sbagliare. Quando nel ’68 ci fu l’invasione della Cecoslovacchia, loro giustificarono l’intervento sovietico mentre io, che mi ero iscritta al Pci a 18 anni e all’università ero stata fra i fondatori della sezione comunista, avevo una netta posizione critica, di aperto dissenso: fin dal ’67 il Movimento, da Berkeley a Parigi, mostrava il profilo antiautoritario. C’era una dialettica costante in famiglia e ognuno manteneva la propria autonomia di giudizio".

In molte famiglie comuniste i figli non venivano battezzati e all’epoca questo poteva essere uno stigma.

"Non ero battezzata, i miei genitori non accettavano i Patti Lateranensi e a scuola fui esonerata dall’ora di religione. Quando entrava il prete, io uscivo. Ma mai sono stata discriminata. Anzi, alle elementari avevo una maestra, Vanda Margotti, cattolica, che mi volle ancora più bene perché babbo e mamma mi avevano insegnato ad avere grande rispetto per la religione e la mia differenza non è mai stata un insulto agli altri".

Dopo le medie, il classico: una scelta autonoma?

"Una scelta scontata. Nel 1961 quella era ‘la scuola’ per eccellenza. La mamma purtroppo non aveva potuto studiare molto, a 15 anni era già impiegata, il babbo invece diplomato al Conservatorio in tromba e pianoforte era sempre in giro per teatri, pensi che nel ’36 con la Scala era a Berlino! Frequentava conferenze, università, colloquiava con personaggi come Concetto Marchesi, Luigi Russo, per lui non poteva esserci altra scelta che il Classico".

Poi l’Università.

"Scelsi filosofia, avevo passioni letterarie filosofiche, amavo Leopardi e Schopenhauer, per la loro visione pessimistica della vita. Cominciava a spirare il vento del Sessantotto, le occupazioni, le notti in facoltà nei sacchi a pelo. Babbo e mamma apprezzavano questo mio impegno sul fronte! Poi arrivò la malattia della mamma, due anni di vita, morì a gennaio del ’72. Io mi laureai nel marzo del ‘73".

Nel frattempo era già arrivato l’impegno politico…

"Il segretario della Federazione provinciale, Gianni Giadresco nel ’69 mi aveva chiesto di candidarmi alle elezioni comunali. Risultai prima dei non eletti, poi nel settembre del ’70 Angelo Pescarini si dimise perché nominato assessore alla cultura nella neonata Regione e così entrai a palazzo Merlato. Ci sono rimasta per vent’anni, mi sono dimessa nel ’90 perché non mi ritrovavo più in una stagione politica totalmente diversa da quella in cui ero cresciuta".

Delusa dal Pci?

"Scomparsa la generazione dei Cavina si era persa la bussola; cultura, etica, capacità cominciavano a venire a meno, peraltro già dagli ultimi tempi di Berlinguer. Pensi che ho sempre inteso la politica secondo il principio di Max Weber, come professione ideale, mai come mestiere e proprio per questo, anche quando fui nominata assessore, ho continuato a insegnare, storia e filosofia".

Quando aveva cominciato? "Nell’autunno del ’73 alle Magistrali a Ravenna, poi lo Scientifico di Lugo, quello di Ravenna e nel 1982 passai di ruolo, al ‘Classico’, la ‘mia scuola’. Come le dicevo ho sempre conciliato la docenza con l’impegno di giunta iniziato nel ‘76, anno in cui Mario Tampieri divenne il mio compagno".

Assessore alla cultura, se non erro.

"Alla cultura e spettacolo. Iniziai con il sindaco Randi, prendendo il posto di Giovanna Bosi Maramotti eletta alla Camera, poi proseguii con Canosani e Angelini. Dopo sette anni rifiutai la richiesta di continuare, non sopportavo la poca trasparenza che vedevo attorno, stava prendendo piede il clientelismo".

Durante il suo assessorato fu avviata la ristrutturazione della biblioteca Classense.

"Ne sono orgogliosa, oggi è il servizio culturale più europeo di tanti altri di livello internazionale, per qualità struttura, servizi, fondi, archivi. Ma è di quella stagione anche lo sviluppo incredibile della cultura teatrale, la stagione dell’Alighieri vedeva dieci repliche per spettacolo! Poi riaprimmo il Rasi, avviammo la lirica alla Rocca e inaugurai la nuova stagione della Loggetta Lombardesca con l’arte moderna, una decisione vincente, ma contestata tanto!"

Si avvicinavano gli anni Novanta…

"Iniziò la seconda parte della mia vita, la scoperta del femminismo, unica vera rivoluzione fatta senza armi e violenza come ebbe a dire lo storico Eric Hobsbawm, una nuova visione della società attraverso i diritti umani, l’ambientalismo, la Costituzione, la riduzione delle diseguaglianze. Nel ’92 fondai il comitato Cico Mendes per una rivisitazione della storia della conquista dell’America".

Sono i tempi di Tangentopoli e del primo governo di centro destra.

"Dopo il ‘Resistere, resistere, resistere’ di Borrelli costituii a Ravenna il Comitato emergenza legalità, con molte iniziative in appoggio al lavoro della magistratura già allora sotto attacco, poi il Comitato in difesa della Costituzione, di cui sono stata presidente fino al 2015, mentre nel 2005 ebbi la fortuna di incontrare Oscar Luigi Scalfaro e con lui iniziai un lavoro a livello nazionale fondando l’associazione ‘Salviamo la Costituzione" di cui Scalfaro fu presidente fino al 2013, anno della sua morte. Altre iniziative avviate a livello nazionale, io le ho rimodellate a Ravenna, come il Coordinamento per la democrazia costituzionale di cui sono portavoce o Libertà e giustizia, una rete di Movimenti della società civile che cercava, non riuscendoci, di costruire ponti con i partiti".

Durante questo periodo ha mantenuto la tessera del partito?

"L’ultima tessera è del 2004, con i Ds. E voglio aggiungere che accanto all’impegno a salvaguardia della Costituzione c’è stato quello per la cultura femminile: nel 2008 fondai l’Associazione Femminile Maschile Plurale. La cultura è da sempre il mio scenario di riferimento, e per dieci anni sono stata anche presidente dell’Università per Adulti".