Alluvione a Lentigione, in tre a processo

I funzionari di Aipo sono accusati, in concorso, di "inondazione colposa". Le difese puntano il dito contro altri enti: "Non era prevedibile"

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di Alessandra Codeluppi

"Noi abbiamo fatto tutto ciò che dovevamo. Le cause che provocarono l’alluvione non sono addebitabili all’Aipo".

Ha preso la parola in aula Mirella Vergnani, figura apicale dell’Agenzia interregionale per il fiume Po, durante l’udienza preliminare a cui è approdata l’inchiesta sull’alluvione dell’Enza che il 12 dicembre 2017 sommerse Lentigione. L’ingegnere, alla guida della direzione territoriale idrografica Emilia occidentale, ha voluto replicare a quanto sostenuto nella scorsa udienza dal pm Giacomo Forte, secondo cui "il disastro poteva essere evitato" e che aveva chiesto il processo per lei, l’ingegnere Massimo Valente, all’epoca dirigente della zona Emilia occidentale e ora responsabile dell’Aipo a Rovigo, e il geometra Luca Zilli.

La domanda del pm Forte è stata accolta dal gup Luca Ramponi che ieri ha disposto per le tre figure di Aipo il rinvio a giudizio, con processo fissato per il 3 marzo dell’anno prossimo. I tre sono chiamati a rispondere di inondazione colposa in concorso, accusa che i loro legali – gli avvocati Paolo Trombetti per Vergnani, Giulio Garuti per Valente e Amerigo Ghirardi per Zilli – hanno tentato di smontare, così come Vittorio Melandri per l’avvocatura dello Stato, in rappresentanza di Aipo citata come responsabile civile.

Le difese hanno puntato il dito contro altri enti, anche alla luce di una consulenza tecnica affidata agli ingegneri Alessandro Paoletti e Stefano Croci. "Il progetto dell’argine di Lentigione non è dell’Aipo, ma dell’Autorità di bacino: se ha ceduto, è per un difetto genetico – sostiene Trombetti –. Non solo: i bollettini meteorologici del centro regionale avevano sottostimato l’evento e chi li ha letti si aspettava una situazione diversa da quella che si e verificata. L’analisi delle piene dell’Enza nell’ultimo secolo, la prima risale al 1935, e gli altri elementi, rendevano imprevedibile che una piena prospettata in quei termini provocasse l’esondazione. La responsabilità dell’Aipo non era controllare il progetto dell’argine, ma il franco, cioè l’altezza libera dell’argine, che dev’essere almeno un metro anche durante le piene. I volontari comunicarono che l’argine fu sormontato alle 5 del mattino del 12 dicembre, mentre nella riunione della sera prima col prefetto la situazione era stata descritta come ordinaria. Il pm sostiene che si sarebbero potuti posare i sacchetti di sabbia, ma sarebbero occorse 48 ore. L’evento fu imprevedibile".

Il pm Forte ha replicato, e così gli avvocati di parte civile Giovanni Tarquini e Gianluca Tirelli secondo cui "liquidare il processo solo sull’eccezionalità dell’evento è limitativo".

Dopo il verdetto del gup, insieme all’avvocato Domizia Badodi per il comitato cittadino degli alluvionati, hanno espresso soddisfazione: "Il passaggio verso il dibattimento non era scontato ed è un approfondimento necessario che speriamo confermi le contestazioni".

In aula anche Elena Benassi, sindaco di Brescello, Comune costituito parte civile. "È un primo buon risultato", commenta lei elencando i recenti lavori pubblici a Lentigione, ovvero "l’intervento completato all’ex Casa del fascio; quello in corso, insieme alla Provincia, all’incrocio tra la sp 62 e via Imperiale e il parco del centro sociale dove a breve inizieranno i lavori".

L’avvocato del Comune di Brescello, Salvatore Tesoriero, prospetta "un danno patrimoniale, perché il municipio si fece in parte carico del danno, e anche d’immagine".

Al presidente del comitato alluvionati Edmondo Spaggiari salgono le lacrime agli occhi: "La rabbia e i ricordi riaffiorano, specie dopo aver sentito parlare Vergnani. Se sarà richiesto parleremo anche durante il processo: abbiamo vissuto il disastro sulla nostra pelle e ora spero nella giustizia".