"Chiedo scusa a tutti". Pentimento in aula. Ma per il killer di Cecilia 30 anni di carcere

Mirko Genco uccise la sua ex in un parco dopo averla stalkerizzata. In Appello aggravata la condanna. Ma riconosciute le attenuanti. per avere confessato e per il trauma del femminicidio della madre.

"Chiedo scusa a tutti". Pentimento in aula. Ma per il killer di Cecilia 30 anni di carcere

"Chiedo scusa a tutti". Pentimento in aula. Ma per il killer di Cecilia 30 anni di carcere

La condanna in primo grado è stata leggermente rialzata: da 29 anni e 3 mesi, si è passati a 30 anni. Niente ergastolo, com’era stato chiesto dalla pubblica accusa, perché sul punto la Corte d’Appello ha confermato il verdetto reggiano: le attenuanti generiche - legate alla sua confessione e al difficile passato nell’infanzia - sono state di nuovo riconosciute in regime di equivalenza con le aggravanti. È questo il verdetto emesso ieri a Bologna per il 27enne Mirko Genco, autore di un omicidio brutale verso la sua ex fidanzata, la 34enne Juana Cecilia Hazana Loayza, peruviana che aveva scelto di costruire la sua vita Reggio e madre di un bambino che ora ha 3 anni. Lui la uccise il 20 novembre 2021 nel parco di via Patti: pochi mesi prima l’aveva stalkerizzata, aveva patteggiato, e la sua pena fu sospesa purché si sottoponesse a un percorso di recupero, a cui però Genco non si presentò. A pochi passi dalla casa di Juana Cecilia, quella notte lui la violentò e la uccise, prima tentando di strangolarla nel parco, poi salendo nel suo appartamento a prendere un coltello per finirla, registrando anche l’accaduto. Lacrime e abbracci hanno scandito l’attesa della sentenza. Ieri le attiviste di Nonunadimeno si sono strette a Dina, madre della vittima, e alle sorelle Carmen e Rosaria, strotolando uno striscione davanti al tribunale contro i femminicidi, tornati tristemente d’attualità con la morte di Giulia Cecchettin. Davanti alla Corte presieduta dal giudice Orazio Pescatore, il sostituto procuratore generale Antonella Scandellari ha chiesto l’ergastolo, domanda contenuta anche nel ricorso del pubblico ministero Maria Rita Pantani. Scandellari ha chiesto l’assorbimento dell’omicidio tentato in quello consumato (per Pantani andavano distinti), le attenuanti subvalenti rispetto alle aggravanti e la condanna anche per rapina delle chiavi dalla borsetta della vittima (da cui era stato assolto). Nel proprio appello il pm Pantani aveva domandato un verdetto più severo, cioè di escludere del tutto le generiche, e in più 18 mesi di isolamento diurno. Le parti civili - avvocati Giovanna Fava, Federico De Belvis e Francesca Guazzi per i parenti della vittima, Berenice Stridi per il Comune, Samuela Frigeri per Nondasola - si sono associate alle richieste della pubblica accusa: hanno rimarcato che "l’omicida non ha mai chiesto scusa" e che "seppur avesse un disturbo di personalità, la sua capacità di volere era intatta, e lui decise di uccidere". L’avvocato difensore Vincenzo Belli ha domandato la conferma delle attenuanti generiche, alla luce delle sue confessioni e del suo trascorso - fu abbandonato dai genitori, crebbe coi nonni e in anni recenti la madre fu vittima di femminicidio a Parma - oltrema una pena più bassa, partendo dal minimo edittale. Ha preso la parola anche l’imputato: "Non potendo farlo con Juana Cecilia, chiedo perdono a dio, a sua madre e a suo figlio". Lui, in carcere a Modena, è tornato sui libri per prendere un diploma: "Sto lavorando e studiando. So che dovrò scontare una pena lunga, ma spero alla fine di uscire migliore". Parole di fronte alle quali mamma Dina è scoppiata in lacrime, sopraffatta dal dolore. Il tribunale di Bologna ha dato 30 anni accogliendo l’assorbimento proposto da Scandellari e condannandolo anche per la rapina. E ha confermato le attenuanti generiche equivalenti alle aggravanti.