La New York minimal del chitarrista Jack Baldelli

Il musicista reggiano, 40 anni, da otto vive nella Grande Mela. Nel nuovo album l’omaggio alla metropoli dopo un periodo di riflessione

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di Lara Maria Ferrari

Finalmente libero. Calato nel presente e proiettato nel futuro. Giacomo Baldelli ci appare così, a una manciata di giorni dall’uscita di ‘New York City Tracks’ (fuori il 5 agosto), in cui omaggia la sua città di adozione e la musica contemporanea, attraverso una personale interpretazione scevra da convenzioni e stereotipi che spesso il genere richiede. Il disco del chitarrista reggiano (1982), da sempre attivo nell’esplorazione del repertorio contemporaneo per chitarra e che il pubblico ha applaudito in Italia, Germania, Francia, Inghilterra, Repubblica Ceca, Polonia e Stati Uniti, segue ‘Electric Creatures’ (2018) e la rottura delle regole che contraddistinguono la musica d’avanguardia. Da quel momento ‘Jack’ Baldelli si è ritrovato a pensare ad alcuni compositori il cui percorso personale fosse connesso con New York. Grazie al ritrovamento di sue vecchie registrazioni della composizione di Steve Reich ‘Electric Counterpoint’, che Baldelli aveva proposto alla Biennale di Venezia 2018 sotto il moniker NIDRA, nasce l’universo narrativo di ‘New York City Tracks’, che comprende ‘Garcia Counterpoint’ di Bryce Dessner (chitarrista dei The National), ‘Warmth’ di David Lang (Premio Pulitzer per The Little Match Girl Passion e vincitore di un David di Donatello per le musiche di Youth di Paolo Sorrentino), ‘Music in Similar Motion’ di Philip Glass (uno dei capifila del minimalismo) e ‘Dream’ di John Cage (figura musicale di riferimento del Novecento).

Giacomo, com’è avvenuta la selezione dei cinque compositori?

"Per la prima volta ho scelto di registrare musica già edita da compositori molto noti. Da un certo punto di vista il mio è stato l’approccio tipico del musicista classico che affronta pagine note della letteratura. Ho voluto reinterpretare (e in un paio di casi riarrangiare) brani che potessero esprimere al meglio un certo sound di New York".

New York da quando ci si è trasferito fino ad oggi, com’è cambiata da un punto di vista umano, sociale e della scena musicale?

"Anche se vivo a New York da otto anni, è ovviamente dal 2020 che la città è molto cambiata. La scena artistica ha subìto un colpo che pareva essere quasi mortale. La scena musicale cerca ancora oggi di riemergere, anche se molte piccole realtà underground di musica sperimentale non esistono più, purtroppo. Ma i newyorkesi (musicisti compresi) si sono rialzati da tante vicende drammatiche in passato e ci riusciranno anche stavolta".

Rispetto al suo album precedente, ‘Electric Creatures’, che differenze troviamo a livello di sonorità, contenuti e ispirazione in ‘New York City Tracks’? Sappiamo che c’è un faro a guidarla, la ricerca...

"Negli anni ho sviluppato un metodo di lavoro simile a quello di un musicista rock. Lavoro al concept, all’idea di un album, poi cerco i brani giusti, li registro e li suono in pubblico. Questo nuovo lavoro è un po’ atipico rispetto ai precedenti, innanzitutto perché nessun brano è stato scritto per me, poi perché non ho lavorato a stretto contatto con i compositori, anzi, tranne uno, non li ho proprio mai incontrati. Era da tempo che volevo registrare un album di musica minimal, genere che conoscevo anche quando vivevo in Italia, ma che solo vivendo a New York ho davvero capito. Ho trovato cinque brani che rientrassero in questo filone, ma che al tempo stesso fossero stati scritti da compositori della scena newyorkese. Un omaggio al minimalismo e a New York".

E’ ritornato ad abbracciare la chitarra elettrica dopo averne considerato l’abbandono. Che filo si era spezzato?

"Sì, è vero, ho quasi abbandonato. E la pandemia non c’entra. Credo che non ci sia nulla di male nel pensare che ad un certo punto si possa smettere di fare quello che si è sempre fatto. Nel mio caso credo che questa idea sia legata alla voglia di provare cose diverse, di esplorare modi diversi di espressione. Dal 2019 conduco un podcast indipendente, ‘Chiamo Dopo’, che mi ha permesso di dialogare con quasi 130 artisti delle più svariate estrazioni. Questo talk show è una fondamentale fonte d’ispirazione che mi fa capire quanto poco conosca del mondo dell’arte, indipendentemente dalla musica. È stato come tornare a scuola. Dopo quasi quattro anni dall’ultimo disco, però, avevo voglia di capire se sapevo ancora "come si fa".

New York, 2022. Un cibo, un film, uno sport, un rumore per descriverla.

"Due cose. Cibo: sicuramente un ‘ban mi’ (un panino vietnamita), mangiato a St. Mark’s Place, in un ristorante che si trova nel seminterrato del palazzo reso celebre dalla copertina di ‘Physical Graffiti’ dei Led Zeppelin. Rumore: la metropolitana, i freni sulle rotaie, le porte scorrevoli, gli annunci. Tutte cose che per un anno intero non avevo ascoltato".

Che cosa le manca di più dell’Italia e di Reggio?

"Purtroppo ho recentemente perso il mio migliore amico, con cui sono cresciuto a Reggio, quindi ora come ora la cosa che mi manca di più di Reggio sono certe persone, gli amici veri".