"L’aggravante mafiosa non va tolta Erano società dei Grande Aracri"

Processo Grimilde, il pm della Dda Ronchi contesta la scelta della Corte d’Appello di depennare il 416 bis da alcune accuse sulle intestazioni fittizie. La Procura generale di Bologna annuncia ricorso in Cassazione

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di Alessandra Codeluppi

"È illogico trattare queste vicende usando criteri differenti".

Replicando alle difese nel processo di ‘ndrangheta ‘Grimilde’ con rito ordinario, il pm della Dda Beatrice Ronchi critica in aula la scelta della Corte di secondo grado di depennare l’aggravante mafiosa da diverse accuse di intestazioni fittizie di società ricondotte ai Grande Aracri di Brescello.

La Procura generale di Bologna ha già annunciato che presenterà ricorso in Cassazione.

Per i cinque imputati Roberto e Matteo Pistis di Brescello, oltreché i Passafaro - Francesco Paolo, Giuseppe e Pietro 1995, parenti della moglie di Salvatore Grande Aracri - la difesa ha chiesto che, in linea con i giudici di secondo grado, anche la Corte reggiana non riconosca l’aggravante del 416 bis.

Al centro del contendere, ci sono, le società Magnifica di Brescello, che gestiva una pizzeria, e l’EuroItalia. "Si tratta di società come la Viesse, per la quale l’aggravante mafiosa è stata invece riconosciuta sia in primo grado sia dal gup", rimarca il pm che vuole evitare il rischio di una lettura parcellizzata delle vicende: "Quando la compagine societaria è troppo esposta o ha problemi, si cambia: la Magnifica parte dal settembre 2017, quando la Viesse non era più utilizzabile, e fu l’ennesima iniziativa imprenditoriale fatta a Brescello, dopo la pizzeria a Parma, quando il Comune fu commissariato. L’episodio del pizzaiolo fuori territorio, intimidito perché non portasse più le pizze a Brescello, si verifica perché a Brescello doveva lavorare solo la Magnifica. Sul furto di materiali edili sottoposti a confisca, e che servirono ai lavori dentro la Magnifica, invece l’aggravante mafiosa è stata riconosciuta. Ecco perché non si possono scindere le vicende".

Il pm non indietreggia neppure su Gregorio Barberio ("Aveva rapporti stabili con sodali dal 2009 al 2017, era amico di Paolo Grande Aracri e in rapporti col padre Francesco") e su Nunzio Giordano ("Ricevette pagamenti non da Barberio ma da Grande Aracri").

Su Omar Costi, a processo per strozzinagguo verso una coppia di coniugi imprenditori, richiama documenti sequestrati per sostenere che lui era a "perfettamente consapevole del patto usuraio": "Parlano gli assegni dati in garanzia dalla vittima al momento della ricezione di 48mila euro, con 8mila euro in più che sono il 21% di interessi". E ha accennato a una storia di disperazione: la moglie, parte offesa, in maggio è stata condannata a 3 anni in Appello per aver distratto sei camion a favore di una società intestata alla figlia, nel tentativo di pagare gli interessi usurari.

Ha anche ribattuto alle accuse di "processo a orologeria" lanciate dalla difesa, sostenendo che l’episodio è emerso dopo l’avviso di fine indagini di ‘Aemilia’ e poi sono state analizzate l3 intercettazioni: "Non è vero che se uno non è stato imputato in ‘Aemilia’ non è mafioso. Il contrasto alla mafia non può essere risolto solo con un’operazione". Il pm ha anche replicato al legale di Francesco Grande Aracri e del figlio Paolo, per i quali ha chiesto rispettivamente 30 anni e 16 anni e mezzo per associazione mafiosa.

Per il padre ha ribadito le dichiarazioni dei collaboratori di giustizia: "Tutti gli riconoscono un ruolo di capo a cui rivolgersi in caso di contrasti". Ricorda un versamento di 433mila euro, fatto da Francesco e da altri, "somma di provenienza ignota".

Nonché la discoteca Italghisa: "Secondo il gup erano locali che servivano a riciclare proventi mafiosi". E richiama il pentito Giuseppe Liperoti: "Era perfettamente informato sulla guerra di mafia e la disponibilità di armi". Ricorda un’intercettazione di Salvatore Grande Aracri, l’altro figlio, in auto, in cui dice a una donna di avere qualcosa nel cruscotto per cui potrebbe scattare un arresto: secondo la Dda si riferisce a un’arma.

Per Paolo Grande Aracri ribadisce i rapporti con gli esponenti dalla cosca e la vicenda del bar di Parma, tolto al gestore tramite un’articolata estorsione e metodi violenti.