"Migranti, non si creino zone-ghetto in città"

Maramotti (Coop Ovile): "Le persone prese in carico a oggi in provincia sono 1.110. La sfida è trovare loro sistemazioni dignitose"

Migration

di Nicola Bonafini

Valerio Maramotti, presidente della cooperativa sociale L’Ovile, ci può ‘scattare’ una fotografia sulla situazione immigrazione a Reggio al momento?

"Le cooperative che gestiscono l’accoglienza dei migranti a Reggio, sono sei. Totalmente, in provincia di Reggio sono circa 1.100 le persone che sono parte dei circuiti dell’accoglienza, di queste 800 vengono dalle rotte africane, subsahariane e asiatiche, mentre 300 circa sono quelli che arrivano dall’Ucraina. Tenga presente che è un flusso continuo, in entrata e in uscita".

All’Ovile quanti ne ospitate?

"Al momento ne accogliamo 288".

Quali sono, in base all’esperienza vissuta quotidianamente, i problemi maggiori che incontrate nello sviluppo dell’attività di accoglienza in città?

"Posso dire che sono due gli ordini di problemi che incontriamo".

Il primo?

"Quello, e qui mi rivolgo anche alle istituzioni che governano e amministrano la città, di non creare zone ‘ghetto’ una volta che questi ragazzi escono dal circuito dell’accoglienza perché si integrano perfettamente, magari iniziando a studiare o trovando un lavoro stabile. L’idea è quella di consentire loro di poter vivere in abitazioni o alloggi dignitosi".

E questo, ci permettiamo di anticipare il secondo problema, è quello di trovare appartamenti da affittare dove alloggiare i migranti arrivati a Reggio, è così?

"È un problema non nuovo. Diciamo che negli ultimi tempi si è acuito, soprattutto per gli investimenti compiuti sull’università. Sappiamo che a Reggio l’afflusso di studenti da fuori città sta aumentando, ed è quasi naturale che un proprietario di un appartamento vuoto valuti con maggior favore di affittarlo a uno studente universitario che a un migrante. Niente di nuovo, questo problema c’è sempre stato. Però…"

Però?

"Cerco di guardare anche il bicchiere mezzo pieno. Nel 2017 a Reggio accoglievamo 1.900 persone, oggi sono 1.100, diciamo che la pressione sul circuito dell’accoglienza è di molto inferiore rispetto ai suoi massimi".

Immigrazione proveniente dai flussi per così dire ‘classici’, che si integra con quella che arriva dall’Ucraina. Com’è la gestione della situazione al momento?

"All’inizio siamo andati un po’ sotto pressione perché il flusso è stato importante. Oggi la situazione è ampiamente sotto controllo, nel senso che molti di loro sono rientrati in patria, magari perché nella loro città i bombardamenti sono finiti. Mentre stiamo assistendo all’arrivo di persone dalle zone più colpite al momento. Diciamo che c’è stato un certo ricambio e un flusso costante, almeno dal nostro osservatorio".

Come si integrano i due fenomeni?

"Le esigenze di accoglienza di chi arriva dall’Ucraina sono molto diverse da chi proviene dalle rotte, diciamo, africane. Sono prevalentemente famiglie, con bambini anche in età scolare. Hanno bisogni ed esigenze, di vita e di istruzione diverse rispetto a chi sbarca dall’Africa. Di questo, ovviamente, cerchiamo di tenere conto. Mi permetta di aggiungere un aspetto che mi ha colpito non troppo in positivo… "

Dica pure…

"I reggiani hanno aperto le porte delle loro case molto più volentieri ai profughi ucraini rispetto a quelli africani. Mi è capitato più volte di firmare contratti d’affitto con proprietari di case che chiedevano espressamente nel contratto che queste fossero destinate specificamente agli ucraini. Non esprimo ovviamente commenti, è solo ciò che mi è capitato in varie circostanze e che mi ha fatto particolarmente riflettere".

Ultimo aspetto, il post sgombero delle ex Reggiane. A distanza di tempo e in retrospettiva come è stato gestito lo sgombero e la reimmissione in società degli ospitati?

"Credo sia stata una gestione positiva sotto tutti i punti di vista. Molte persone si sono integrate, hanno trovato un lavoro, e il tutto è stato gestito con umanità e sensibilità da tutte le parti coinvolte. Si poteva fare prima? Assolutamente sì, ma quando si è deciso di procedere, lo si è fatto in una maniera per cui Reggio ha confermato di essere un’eccellenza in fatto di accoglienza ed integrazione di persone straniere".