Natalia, l’handbiker più veloce d’Italia: "Quando pedalo mi sento libera"

Beliaeva è tricolore: "Prima volta, che emozione. Ringrazio i volontari Anteas e il mitico meccanico Parmiggiani"

Natalia, l’handbiker più veloce d’Italia: "Quando pedalo mi sento libera"

Natalia, l’handbiker più veloce d’Italia: "Quando pedalo mi sento libera"

Natalia, che emozioni le ha regalato l’esperienza di Montesilvano?

"E’ il mio primo titolo tricolore, quindi le lascio immaginare. Vincere è sempre bello, procura sensazioni indescrivibili, figuriamoci quando si raggiunge un obiettivo per la prima volta. Negli anni scorsi ero arrivata sul podio, finalmente questa volta ho vinto".

Al suo attivo però lei ha già diversi Giri d’Italia chiusi in maglia rosa.

"E’ così, ma mi mancava questo alloro e sono proprio felice di averlo centrato, anche perché fare la doppietta gara in linea-cronometro, non è semplicissimo".

Quanti chilometri ha dovuto percorrere?

"La mia categoria, la WH1, è quella dei disabili più gravi, quindi il chilometraggio non è altissimo, ma abbiamo pedalato per oltre un’ora e mezzo, che non è poco. La cronometro è sui 12 chilometri circa".

Quando ha iniziato a praticare l’Handbike?

"Nel 2016, nel momento in cui l’Asd Cooperatori, la mia società, presso la pista intitolata a Giannetto Cimurri, ha iniziato anche l’attività con i disabili. Mi sono subito appassionata anche se non potevo fare le gare perché non avevo la bici adatta. Nel 2018 mi è stato possibile acquistarne una usata, in alluminio, e ho cominciato a gareggiare, e anche a vincere. Ma per progredire occorreva una bici nuova".

Ora ce l’ha?

"Sì, in fibra di carbonio: più leggera, veloce e maneggevole. Grazie alla raccolta fondi che coinvolse tanti enti di Reggio e tante persone che hanno donato ho potuto realizzare anche questo sogno".

Cosa significa per lei l’Handbike?

"Quando pedalo provo un senso incredibile di libertà, viaggio libera con corpo e mente, e non sento per nulla la mia disabilità. Per cui non finirò mai di ringraziare i volontari Anteas che mi portano in pista ad allenarmi, visto che io non posso guidare e il mitico Rino Parmiggiani, che mi rimette in sesto la bicicletta dopo ogni gara e la controlla minuziosamente, un grandissimo meccanico. Praticare handbike per molti aspetti mi ha cambiato la vita".

Che immaginiamo non sia semplice nel quotidiano…

"Subito dopo essere rimasta tetraplegica il mio primo obiettivo è stato non farmi distruggere da quello che mi era capitato. In questo senso il primo sprone è stato il fatto che, all’epoca (era il 2007, ndr) i miei figli avevano 5 anni e mezzo e 20 mesi. Nonostante quello che mi era successo io volevo essere parte della loro vita, seguirli il più possibile nelle loro necessità. All’inizio è stato certamente difficile perché, soprattutto la primogenita, mi chiedeva il motivo per cui non andavamo al parco come prima, per esempio. Ma i bambini sono quelli che sanno reagire, e aiutano a reagire, meglio a queste situazioni. Ci siamo spronati a vicenda e cresciuti insieme dicendoci: ’piano piano torneremo a fare le cose come prima’. Mi hanno sempre dato una grandissima forza".

Anche nell’affrontare la lunga riabilitazione?

"Ovviamente. In un percorso che ho affrontato con grande volontà e dedizione cercando anche di allenare il più possibile il mio corpo. Ma se non ci fosse stato l’handbike di fatto sarei stata in sedia a rotelle quasi tutto il giorno. Invece praticare sport è un valore aggiunto per chi ha delle disabilità, oltre che essere fondamentale per tutti in generale".

A dare tanta visibilità all’Handbike e al mondo dello sport paralimpico in generale è stato un grande Uomo e un grande campione come Alex Zanardi. L’ha conosciuto?

"Sì, la prima volta nel corso dei campionati italiani del 2019; fu molto disponibile e facemmo anche una bella foto insieme. Poi l’ho rivisto a Reggio, alla pista Cimurri giusto pochi giorni prima del tremendo incidente che ha avuto in Toscana, proprio in handbike come tutti sanno. Anche in quell’occasione dimostrò, una volta di più, di essere una persona eccezionale: ci ha dato grande carica, attenzione e sempre col sorriso sulle labbra".

La sua attività è diventata anche strumento per parlare del mondo della disabilità nelle scuole. Come ha fatto giusto a fine marzo a Scandiano…

"Sì, sono incontri che faccio volentieri; ogni anno e in diverse scuole, collaborando col progetto ’Pedalare in sicurezza’ con la Asd Cooperatori. Sono occasioni importanti in cui racconto a bambini e ragazzi quanto sia importante saper reagire, vivere la vita passo dopo passo combattendo tutte le avversità. In qualche occasione porto anche la mia bici e la faccio provare". Progetti per il futuro?

"Vincere ancora il Giro d’Italia, se possibile. In quello di quest’anno al momento sono maglia rosa, avendo vinto la prima tappa a Genova a metà marzo. Vedremo cosa succederà nella prossima: il 12 maggio a Monfalcone".

Nei suoi sogni c’è anche l’Olimpiade?

"Ci sarebbe. Ma la nostra categoria al momento non fa parte del programma paralimpico, quindi mi devo ’accontentare’ del Giro d’Italia. Altre gare internazionali non le ho ancora fatte, ma mi piacerebbe cominciare ad affrontare anche quelle".