Omicidio Reggio Emilia: Genco voleva un figlio da Cecilia Hazana

Dopo il delitto l'assassino ha detto di considerarla "la sua donna" e che "a quell’ora una madre doveva essere a casa dal suo bimbo"

Omicidio di Reggio Emilia: la vittima Cecilia Hazana e l'assassino Mirko Genco

Omicidio di Reggio Emilia: la vittima Cecilia Hazana e l'assassino Mirko Genco

Reggio Emilia, 29 novembre 2021 - Mirko Genco si sentiva padrone della vita della sua vittima, Juana Cecilia. Padrone di tutto: delle scelte di lei, della sua moralità, di ciò che per lei sarebbe stato giusto o sbagliato. Considerava ancora la ragazza come "la mia donna", e aveva deciso, lui solo, di avere un figlio da lei.

Omicidio Reggio Emilia, Bruzzone: "Genco? Una bomba innescata, patteggiamento non idoneo" - Omicidio Reggio Emilia, in un audio l’ultima ora di vita di Cecilia

L’ordinanza di convalida del fermo del 24enne – reo confesso dell’omicidio dell’ex fidanzata 34enne, avvenuto nella notte di 9 giorni fa nel parco dell’ex polveriera – è il ritratto di un’ossessione, dell’incapacità di adeguarsi alla realtà se essa contraddice le nostre aspirazioni, della convinzione di essere legittimati a poter decidere per entrambi. Non c’è dolore, non c’è pentimento. "Preciso che io consideravo Cecilia come la mia donna", ha detto l’assassino nel corso della confessione, poche ore dopo il delitto; come se la volontà di Cecilia, che l’aveva allontanato dalla fine di agosto, e l’aveva denunciato tre volte per stalking, non contasse nulla.

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La notte tra venerdì e sabato, quando Cecilia pubblica sui social le foto della sua serata finalmente spensierata in compagnia di amici, in un ristorante cittadino, Mirko – che riesce a spiarla schermato da un falso profilo – parte da Parma e la raggiunge spinto non solo dalla gelosia. E’ qualcosa di più: quando vede le immagini di lei sorridente, "mi sono molto arrabbiato – spiega agli inquirenti – poiché credo che una madre a quell’ora debba essere a casa con suo figlio". C’è un giudizio morale, una sentenza di condanna. Per questo inizia il tambureggiamento di chiamate e messaggi che la ragazza, peraltro, ignora. Genco – tra le 23,47 del 19 e l’1,41 del 20 novembre – la chiama 14 volte. La giovane donna, agli amici presenti al tavolo, dice che si tratta di una persona che la stalkerizza. E’ una ferita aperta, e la ragazza – forse temendo di guastare il clima di allegria - non aggiunge altro, non chiede protezione.

Esce da locale da sola. Trova Mirko Genco. Lui la vuole accompagnare verso casa, verso via Melato. Col cellulare filma e registra per dimostrare – spiega – che la ragazza era già "ubriaca" e non per colpa sua. Genco si contraddice. Dice che Cecilia lo insulta, che gli promette che avrebbe chiamato la polizia per farlo arrestare, ma afferma anche che lungo il tragitto ci sono state effusioni, poi culminate in un rapporto sessuale nel parco. Le telecamere poste lungo il tragitto lo smentiscono: si vede lui tenta l’approccio e lei che lo respinge.

Nel parco, il telefonino registra le voci. Lui che l’assale, lei che oppone un "No". Poi la sopraffazione fisica, lo strangolamento e l’ultimo sfregio, poco prima di essere uccisa.