"Se non rispetti regole e gerarchie, vieni punito"

Processo sui pestaggi al carcere della Dozza. Il pentito Giuseppe Gigl racconta quello ordinato nel 2015 da Gianluigi Sarcone e Francesco Bolognino

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di Alessandra Codeluppi

Lui le chiama "famiglie", ma in realtà sono clan mafiosi. Ed evidenzia come i meccanismi fossero gli stessi: il rispetto delle gerarchie e delle regole, pena essere puniti. "Anche nelle famiglie normali se uno fa un torto ci si rivolge al papà". Fa questo paragone, il collaboratore di giustizia Giuseppe Giglio, per spiegare il pestaggio avvenuto il 15 marzo 2015 nel carcere della Dozza a Bologna, ai danni di un detenuto, Francesco Madonna, che faceva lo ‘spesino’, cioè la spesa per i compagni di sezione. Secondo la Dda, Gianluigi Sarcone e Sergio Bolognino - entrambi condannati nel processo di ‘ndrangheta ‘Aemilia’ per associazione mafiosa - furono i mandanti delle botte date a Madonna, e ora sono imputati insieme ai campani Mario Temperato ed Enrico Palummo, ritenuti vicini alla camorra e individuati come gli esecutori. Allora pure il pentito Giglio - condannato in ‘Aemilia’, la mente economica del clan - era recluso alla Dozza. Chiamato a testimoniare dal pm della Dda Beatrice Ronchi, nel processo in corso davanti alla Corte dei giudici presieduta da Giovanni Ghini, ha dapprima riconosciuto in un album fotografico, mostrato a lui ieri per la prima volta, i presunti protagonisti.

"Quel giorno stavo passeggiando con Sarcone e Bolognino nel corridoio della sezione. Mi girai per tornare indietro, ma loro due mi dissero di fermarmi: Mario e suo nipote Enrico stavano picchiando il ragazzo della spesa, perché lui aveva fatto uno sgarbo (ai due calabresi, ndr) - ha raccontato Giglio -. Il giovane era in carcere per un’estorsione a un impianto di calcestruzzo. Si trovava fuori dalla cella, quando gli altri due lo fecero rientrare per poi picchiarlo.

Ho visto Mario ed Enrico uscire dalla cella, mentre il ragazzo rimase dentro. Lui, ferito con graffi al volto, per un po’ non si è più visto in giro". Secondo quanto ricostruito, Madonna non denunciò mai le botte, che furono refertate solo perché se ne accorse un agente della polizia penitenziaria. Anzi, parlò di una caduta accidentale. "Il ragazzo della spesa era campano, della zona di Mario ed Enrico: apparteneva alla loro famiglia, quella degli Schiavone. Sarcone, della famiglia Grande Aracri, non poteva dargli direttamente una lezione. Visto che c’era una persona più anziana dell’altra famiglia, si rivolse a lui, cioè a Mario".

Ecco spiegata la metafora del "papà". Rispondendo all’avvocato Roberto Filocamo, difensore di Bolognino che ieri assisteva Palummo in sostituzione dei suoi legali, Giglio ha precisato di trovarsi a circa 25-30 metri dalla cella, che vide due persone entrare e altre due rimanere fuori, di cui una sulla soglia della porta che teneva socchiusa, e che anche un altro detenuto, Giuseppe Pallone, disse che stavano picchiando Madonna. "Sarcone e Bolognino non mi spiegarono il motivo del pestaggio, ma mi parlarono di un torto nei loro confronti".