Tommaso Onofri, "ucciso dalla rete pedofila"

Dalle testimonianze emergono le ipotesi inverosimili degli indagati, fino all’idea del coinvolgimento dei capi della ’ndrangheta reggiana

Il piccolo Tommy

Il piccolo Tommy

Reggio Emilia, 24 dicembre 2019 - Dettagli da racconto horror. Congiure degli inquirenti. E riferimenti inverosimili, che spaziano da una vittima innocente come il piccolo Tommaso Onofri - il bimbo di 17 mesi sequestrato e ucciso nel 2006, sepolto lungo la riva parmense dell’Enza, ai confini con S.Ilario - fino ai capi della ‘ndrangheta reggiana condannati nel processo ‘Aemilia’. Secondo gli investigatori, tutto questo sarebbe stato evocato da Federica Anghinolfi, ex responsabile dei servizi sociali della Val d’Enza, e Francesco Monopoli, assistente sociale - indagati nell’inchiesta ‘Angeli e demoni’ - per rendere più spaventosa possibile l’immagine della "rete dei pedofili" di cui loro avrebbero sostenuto l’esistenza, e da cui, a loro avviso, bisognava salvare i bambini, perché coinvolgeva anche pubbliche autorità.

È quanto si legge nell’ordinanza con cui il gip Luca Ramponi, rimettendo in libertà sabato i due indagati, ha disposto per loro l’interdizione per un anno dalla professione. Della setta entrambi avrebbero parlato a più persone, che poi lo hanno raccontato ai carabinieri, coordinati dal pm Valentina Salvi. Tra loro l’ex comandante della polizia municipale Val d’Enza Cristina Caggiati (ora a processo per lo scandalo vigili urbani): "Da diversi anni - ha detto Caggiati - Anghinolfi mi parlava di una rete di pedofili che ipotizzava attiva anche in Val d’Enza, composta da magistrati, ecclesiastici e forze dell’ordine, e collegata ai ‘Diavoli’ della Bassa modenese. Una volta mi disse di ritenere che il piccolo Onofri potesse essere stato una loro vittima". Anghinolfi avrebbe nominato il bambino ucciso e fatto riferimenti alla cosca in alcuni messaggi chat "dove viene evocata la rete, ritenendola coinvolta nell’omicidio di Onofri, e che vedrebbe, oltre a disponibilità economiche enormi, anche la collaborazione di condannati per ‘ndrangheta (Vertinelli, Sarcone e Grande Aracri)".

Racconti simili anche da un consulente tecnico del tribunale dei minori di Bologna, che si stava occupando di un bambino la cui storia è poi confluita nell’inchiesta: "Monopoli mi disse che le famiglie avevano venduto i propri figli alla cerchia dei pedofili, per soddisfare le pulsioni sessuali del gruppo. Mi lasciò intendere che il bambino da me seguito era tra quelli. Mi diede per certi questi abusi sessuali rituali, aggiungendo che avevano allontanato i bambini per lampanti prove di queste violenze, tra cui pratiche sessuali estreme che avevano provocato svenimento di bambini, documentate da certificati medici indiscutibili. Io mi limitai a dirgli di seguire la corretta strada per informare gli organi competenti".

Elementi macabri emergono dalle rivelazioni dell’assistente sociale Cinzia Magnarelli, indagata: "Le situazioni si riferivano a racconti dei bambini da cui emergevano omicidi di altri bambini, ma anche cannibalismo e rituali religiosi satanici. A noi fu riferito sia da Monopoli sia da Nadia Bolognini (altra indagata, psicoterapeuta del centro ‘Hansel e Gretel, nd r): si rifacevano alla simbologia del bosco, delle maschere, dei camionisti e del sangue". Secondo Magnarelli, Monopoli avrebbe evocato un complotto degli inquirenti: "Disse che la priorità era mettere in sicurezza i minori senza avvertire l’autorità giudiziaria perché, avendo elementi molto fragili ed essendo coinvolte persone potenti, la probabilità che la questione fosse insabbiata era alta". E parla di pressioni sui colleghi che lei descrive come "vero e proprio terrorismo": "Monopoli e Anghinolfi dicevano di non parlare con nessuno".

Secondo una psicologa, "loro avevano in mente l’obiettivo ‘abuso sessuale’ e tutto ruotava intorno a questo, su cui ci veniva chiesto di orientare i nostri accertamenti anche se c’erano versioni alternative da approfondire. Qualsiasi tentativo - rimarca una psicologa - di riferire che per noi non c’erano ipotesi di abuso era tacciato come negazionismo". Gli operatori erano dilaniati da paura e dubbi: "Poiché tanti avevano contratti a termine, evitavamo di portare fino al contrasto le nostre perplessità. Ma queste forzature hanno intimorito molti sulla possibilità che prima o poi il sistema sarebbe finito sotto la lente d’ingrandimento della magistratura".