"Il Covid è mutato? Non c’è da preoccuparsi"

Il professor Cossarizza: "È un virus molto stabile rispetto ad altri, ma un tasso di cambiamento per il Sars-Cov-2 esiste, per quanto basso"

Il professor Andrea Cossarizza

Il professor Andrea Cossarizza

Reggio Emilia, 24 gennaio 2021 - Con l’emersione dei due focolai ospedalieri, a Reggio è arrivata anche l’ipotesi ‘variante Covid’. Ma cosa si intende con questa definizione? "Il genoma di ogni virus può mutare durante la sua replicazione — spiega l’immunologo e professore Unimore, Andrea Cossarizza — . Detto questo, il coronavirus è molto stabile e muta poco rispetto ad altri virus. Ad esempio, l’Hiv può presentare, a distanza di tempo, molte varianti anche nello stesso paziente. però, per quanto basso, esiste un tasso di cambiamento anche per il Sars-Cov-2 e, data la sua diffusione attuale, non stupisce che emergano numerose varianti. come poi avviene in tutti fenomeni biologici, una variante che ha un vantaggio evolutivo può prendere il sopravvento sulle altre".

Focolai negli ospedali nel Reggiano: il Covid è mutato? - Vaccino Covid Pfizer: circa 400 reggiani già immuni - Covid, Johnson: nuova variante sembra legata a più alta mortalità E’ quello che sta succedendo con la variante inglese? "Praticamente sì. Alcune mutazioni presenti in questa variante erano già state descritte in giugno: la variante prima si è fatta vedere, poi ha preso il sopravvento. In generale è una variante che funziona un po’ meglio, ma non cento o mille volte meglio. Le varianti emerse al momento — e ce ne sono altre — sono ancora da studiare bene, ma i dati ci suggeriscono che non abbiano un tasso di mortalità diverso dal virus originale". Però il vaccino funziona ugualmente. "Pensiamo che il vaccino sia efficace lo stesso perché gli anticorpi indotti non riconoscono solo una singola parte del virus. In altre parole, non attaccano solo il punto delle proteina che è cambiata a seguito della mutazione, ma molte porzioni diverse della stessa molecola, e quindi possono attaccarla e bloccarla da diverse angolazioni. Per di più i linfociti a loro volta possono migliorare la qualità degli anticorpi che producono, adeguandosi alla situazione. C’è un aspetto fondamentale della vaccinazione di cui tener conto". Quale? "Bisogna mantenere la schedula vaccinale: se il richiamo va fatto ogni 21 o 28 giorni, si devono rispettare i tempi indicati. Al massimo si può ritardare di qualche giorno, ma non oltre. Altrimenti non c’è nessuna efficacia e il sistema immunitario viene messo in difficoltà, perché perde le cellule che devono generare la memoria immunitaria. E’ come far fare riscaldamento a una squadra di calcio e mandarla in campo tre ore dopo. Funzionerebbe malissimo, sconfitta assicurata". Ci sono casi in cui, avendo già avuto il virus di recente, si può aspettare a vaccinarsi. Giusto? "Chi ha già avuto l’infezione per almeno sei mesi non la riprende. A dimostrarlo ci sono i dati di uno studio fatto su un ampio gruppo di operatori sanitari inglesi che avevano avuto il Covid in primavera/estate, e che nei sei mesi seguenti non si sono reinfettati. La malattia stessa aveva indotto una risposta immunitaria protettiva. Quindi, in queste persone ha senso rimandare la vaccinazione, dal momento che il sistema immunitario è già stato attivato, e bene".