Via Stalingrado, il delitto Ucciso a botte in testa Milan Racz condannato a 23 anni di carcere

La vittima, il 51enne Aniello Iazzetta, fu trovato senza vita nel suo letto. L’omicidio era avvenuto il 16 giugno 2021. L’imputato: "Io sono innocente".

Via Stalingrado, il delitto  Ucciso a botte in testa  Milan Racz condannato  a 23 anni di carcere

Via Stalingrado, il delitto Ucciso a botte in testa Milan Racz condannato a 23 anni di carcere

di Alessandra Codeluppi

Tre ore di discussione appassionata, con qualche sorpresa: la parte civile non ha risparmiato di esprimere divergenze rispetto alla Procura, e ha avuto parziale sostegno su alcune tesi dalla difesa. Ognuno ha dato una visione differente sul movente dell’omicidio del 51enne Aniello Iazzetta, trovato morto il 16 giugno, col cranio fracassato, nella casa di via Stalingrado dove viveva anche l’imputato, Milan Racz. Il 35enne slovacco è stato alla fine condannato a 23 anni per omicidio volontario: la Corte d’Assise, presieduta da Cristina Beretti, a latere Michela Caputo e i membri popolari, ha fatto decadere l’aggravante dei futili motivi, mentre ha riconosciuto quelle della minorata difesa e dell’abuso della relazione di ospitalità offerta dalla vittima. Ha poi escluso la contestata recidiva (qualche rapina) e lo ha condannato a risarcire i danni alle parti civili (la figlia minorenne, la sorella e il cognato). Non gli sono state riconosciute le attenuanti generiche. L’imputato – di cui non pubblichiamo l’immagine perché non ha dato il consenso – ha incassato il verdetto con una smorfia di sconforto. Lui, sentito in aula in aprile, si era detto innocente: ieri il pm Valentina Salvi ha sostenuto invece che tutta la sua versione raccontata alla Corte fosse falsa, per poi chiedere l’ergastolo: "Ha accusato il morto e quel brav’uomo che abitava di sopra", sostenendo che quest’ultimo sarebbe stato sfrattato a breve da Iazzetta. Ha parlato di "crudeltà sproporzionata" nell’indicare quello che è, a suo dire, il movente: la scoperta, nel giorno dell’omicidio, del "segreto di Iazzetta", cioè che il 51enne aveva alle spalle una storia di abusi sessuali sulla figlia, procedimento che si era già concluso con un’assoluzione definitiva. Cosa che aveva scatenato in lui "un istinto punitivo": secondo il pm, dopo l’assassinio, la donna con cui lui si allontanò da Reggio, disse in aula che Racz arrivò a casa arrabbiato perchè aveva saputo di quel "segreto", per il quale il pm ha ravvisato i futili motivi. Tra le principali prove indicate dal pm, le tracce ematiche di Racz trovate dai carabinieri del Ris nel salottino della casa. E l’autopsia: "C’erano macchie di sangue sopra la testiera del letto. Racz, arrivato a casa, lo colpì con furia e sbattè la testa della vittima contro la parete fino a spaccarla in due". Ha anche detto che la vittima non era in grado di difendersi perché aveva bevuto. L’avvocato di parte civile Andrea Davoli si è detto convinto che l’esecutore materiale" sia Racz, ma ha dissentito sul movente: "Non è credibile, tutti sapevano questa storia". Ha invece indicato, in base a una testimonianza, un motivo economico: a Racz sarebbero venuti a mancare soldi dopo un prelievo fatto da Iazzetta, che aveva un precedente per truffe online con Postepay, e altri. Forse solo un primo episodio: per questo Davoli ha parlato di "sottobosco", e di "una storia che ancora nessuno ha mai raccontato, dove se qualcuno sgarra viene punito". L’avvocato Ernesto D’Andrea ha chiesto l’assoluzione o in subordine la riqualificazione in omicidio preterintenzionale: ha definito inattendibili i due principali testi del pm, l’inquilino al piano di sopra e Maurizio Carbognani, già noto per altra vicenda di cronaca e ora scomparso, sottolineando i loro problemi psichiatrici certificati, mettendo in evidenza contraddizioni e dando ragione alla parte civile sul "sottobosco". La Corte ha trasmesso gli atti alla Procura per l’attuale compagna di Racz e il suo ex fidanzato, per la vicenda sui verbali di sommarie informazioni testimoniali sulle quali, in aula, lei aveva cambiato versione.