'Ma tu chi sei?': Bruno Arpaia si racconta a Reggio Emilia

Via al lungo soggiorno letterario reggiano dello scrittore per presentare il suo ultimo romanzo, ma non solo. Ecco cosa ci ha detto del libro e dell’amicizia che lo legava a Luis Sepúlveda

Bruno Arpaia, lungo soggiorno letterario reggiano per lo scrittore

Bruno Arpaia, lungo soggiorno letterario reggiano per lo scrittore

Reggio Emilia, 17 novembre 2023 – Inizia domani il lungo soggiorno letterario reggiano di Bruno Arpaia, che sarà ospite del Binario 49 per presentare il suo ultimo romanzo ‘Ma tu chi sei?’ (Guanda), nell’ambito della rassegna ‘Il mio mestiere è leggere libri; i sabati d’autore al B49’ (inizio ore 21). Lo scrittore dialogherà con Rosanna Bertani della Lilt di Reggio a proposito di questo suo nuovo, unico racconto emozionante, non privo di ironia, in cui convergono molti dei dèmoni del nostro tempo e il nostro maldestro tentativo di sconfiggerli. Arpaia sarà quindi protagonista dell’ultima tappa di Welcome Stories per il 2023, un progetto di Piergiorgio Paterlini non etichettabile rispetto alle altre manifestazioni culturali del Paese. Durante la loro permanenza in uno degli hotel della città, gi autori coinvolti incontreranno il pubblico e visiteranno i luoghi. Al termine della residenza, gli autori sono invitati a scrivere un racconto che, nel tempo, realizzerà una piccola biblioteca di inediti d’autore. In questo contesto, Arpaia tornerà venerdì 1 dicembre alle 18, alla libreria Coop All’Arco, con la sua ultima opera, e poi ancora sabato 2 dicembre, alle 11, nell’Aula Magna di Unimore a Palazzo Baroni, ex Seminario di viale Timavo. Ecco che cosa ci ha detto del libro e dell’amicizia che lo legava a Luis Sepúlveda. Nel suo nuovo romanzo, il vissuto privato si mescola a grandi riflessioni che ci riguardano tutti, un grande sfondo collettivo inevitabile vista anche la sua professione di giornalista. Se lei dovesse dire lo stato dell'arte dell'essere umano, e dell'italiano, adesso, dopo una pandemia, con due guerre in corso vicinissime, che cosa direbbe? Qual è il nostro stato di salute psicologica, emotiva e spirituale? “Direi che è pessimo. Di questi tempi, dopo la crisi climatica, la pandemia, le guerre, la disillusione politica (almeno per me) in Italia e in molte parti del mondo, proviamo quasi tutti, mi pare, un senso di fine incombente, un pericolo vago che aleggia su di noi. Questo libro, oltre che dalla malattia di mia madre, nasce anche da questa sensazione, da un orizzonte di deriva del mondo che sembra sempre più irreversibile. Soltanto scrivendolo ho potuto sbrogliare quella matassa, capire perché avessi quella terribile sensazione e di quali componenti fosse intessuta. Come ha scritto Valerio Aiolli, “non si scrive un romanzo per raccontare una storia. Si racconta una storia in forma di romanzo per arrivare a conoscere qualche cosa, qualche cosa che se tu non scrivessi quel romanzo ti resterebbe celata. Qualche cosa che non prenderebbe forma”. Di qui a immaginare delle soluzioni, però, ce ne corre”.   Che cosa insegna la malattia degenerativa mentale di una persona cara?   “Ci ricorda prepotentemente la nostra fragilità, il fatto che siamo di passaggio, come individui e probabilmente come specie. Inoltre, ci dice quanto sia labile e illusorio il concetto di identità, quanto sia stupido cercarne una a tutti i costi, usandola come una corazza per difenderci dagli altri. Questa ossessione identitaria mi sembra uno dei mali peggiori delle nostre società avanzate”.   Lei e Luis Sepúlveda eravate molto amici. Ci può dire almeno uno dei motivi per cui si sente la sua mancanza?   “Di Lucho mi mancano molte cose: i suoi calorosi abbracci da orso, la sua ironia, la sua generosità, e soprattutto l’intelligenza naturale, intuitiva, che riversava nei suoi libri e nelle tantissime discussioni che abbiamo avuto in trent’anni di profonda amicizia”.