ANGELO COSTA
Sport

BASILE LA LEGGENDA

"Per me Pallacanestro. Reggiana vuol dire. l’inizio di un sogno"

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di Angelo Costa

"Non seguo molto il basket in questo periodo, ma il risultato di Reggio lo vado a vedere sempre". Parlare con Gianluca Basile non è mai banale: è uomo di concetti semplici e di idee chiare, di forte personalità e sentimenti nobili, come se ne trovano pochi. Per questo da giocatore è rimasto nel cuore dei tifosi, nelle città attraversate e non solo in quelle: i personaggi si celebrano, le persone si ricordano.

Dici Reggio e per Basile è come raccontare della culla dove è nato, del nido dal quale ha spiccato il volo: qui è iniziata la storia speciale di un atleta unico, perché pochi in carriera contano i trofei che ha in bacheca lui. Bandiera Fortitudo a Bologna, dove ha vinto due scudetti, pilastro del Barcellona, con cui ha conquistato l’Eurolega e un paio di titoli spagnoli, simbolo dell’ultima Nazionale vincente, quella che prima ha centrato l’Europeo a Parigi poi l’argento olimpico di Atene. Giocatori così in America vengono catalogati alla voce leggenda, parola che all’inventore dei ‘tiri ignoranti’ fa scappare una sonora risata anche adesso che a 45 anni si è stabilito a Capo d’Orlando.

Basile, se diciamo Pallacanestro Reggiana?

"L’inizio di un sogno. La partenza in treno da Barletta, da solo, in un vagone strapieno, seduto nei corridori col borsone sulle ginocchia e la testa appoggiata sopra per dormire. Sognavo di diventare un giocatore di basket".

Se diciamo Reggio?

"Città e gente splendida, sono stato accolto bene e ci ho vissuto meglio. Mi è sembrata subito un’altra realtà, venivo da un paesino come Ruvo di Puglia, che resterà sempre il miglior posto al mondo perché ci sono nato".

Un episodio su tutti?

"Quando vado su YouTube salta sempre fuori il filmato dell’invasione di campo al termine del playoff con Gorizia che ci portò in A1. Vedendo quelle immagini mi vengono in mente ricordi belli. E penso: com’ero giovane…".

Ha saputo che a Reggio quest’anno è tornato Consolini, coach di quella stagione?

"Me l’ha detto mia sorella, che lavora in società: mi ha fatto tornare indietro di oltre vent’anni. Giordano è stato importante per me, in foresteria ci seguiva persino a tavola. Scuola Messina, in palestra era tosto, anche se su quell’immagine di sergente di ferro un po’ ci giocava, divertendosi a terrorizzare alcuni di noi, come Giuliani. E’ anche una persona simpatica, ancora oggi ci sentiamo".

Fuori da Reggio ha giocato con Nicolò Melli: si aspettava la carriera che sta facendo?

"Siamo stati compagni di camera a Milano, anche con lui mi sento spesso. Nik merita tutto quel che sta facendo, non ha mai avuto la pappa pronta. Con quel fisico e l’intelligenza che ha, si fatica a lasciarlo seduto, eppure Milano non ha mai puntato davvero su di lui. Non si è mai arreso, ha continuato a lavorare con umiltà, lui è così".

Adesso è in Nba: sorpreso?

"Prima che firmasse gli ho scritto: spero tu lo faccia per i soldi. Non è il suo mondo, anche se ci può stare e ci starà bene, perché ha carattere e se vuole una cosa la ottiene. Ma il vestito che gli sta meglio è il basket europeo: non a caso, con Obradovic è andato a nozze".

Che ruolo avrà l’Unahotels in questa stagione?

"Mi auguro all’altezza della sua tradizione, anche se mi dicono che i tifosi, dopo due finali scudetto, la vorrebbero sempre fra le prime: quando mangi la lasagna una volta, la vorresti sempre. Come tutte le squadre nuove Reggio avrà bisogno di tempo, ma penso che un posto nei playoff non sia impossibile".

Che campionato si aspetta?

"Conosco poco di questa stagione, Eurolega compresa: da quando ho smesso mi sono un po’ allontanato, in questo particolare momento ancora di più, perché non esiste lo sport senza pubblico".

Pesaro ha riportato in Italia il suo amico Repesa.

"Quando ho visto il filmato del suo arrivo in barca, ho chiamato Pozzecco e gli ho detto: tu non sei nessuno, al massimo potevi andare con la zattera".

Ci pensa mai di aver fatto parte dell’ultima Nazionale vincente?

"Significa che il tempo passa velocemente. Sono sorpreso".

In che senso?

"Si pensava che la generazione dopo la mia fosse più forte: più talento, più taglia fisica, il sogno di Tanjevic che non voleva nani ma faceva giocare in regìa Andrea Meneghin. E invece si è dimostrato che nello sport uno più uno non fa sempre due".

Motivo?

"Ah, saperlo. Questo gruppo avrebbe tutto: è unito, è cresciuto mentalmente, ha giocatori intelligenti e ha pure giocato bene, almeno nella prima parte di alcuni tornei. Gli manca un pizzico di lucidità quando la palla scotta, forse non tutti hanno l’abitudine a giocare i palloni decisivi. Se riescono a battere l’età, sono ancora in tempo".

Perché non nasce più un Basile?

"Non sono d’accordo: in giro ce ne sono tanti che possono diventarlo. La differenza sta nel lavoro, nella capacità di dimostrare quanto si vale con i fatti, non parlando".

Non è facile.

"Sono cambiate tante cose. La mia generazione non aveva i cellulari, non sapeva cosa fosse internet e i social erano lontani, per dire la tua dovevi essere intervistato, mentre oggi spari una sciocchezza e in cinque minuti l’hanno letta tutti. Con meno distrazioni ci si concentrava di più sul campo, sugli obiettivi seri: oggi, in un basket più atletico e meno tecnico, chi ha il fisico si accontenta e non si evolve. E’ questione di voglia e mentalità: noi eravamo piccoli, brutti e scappati di casa, ma avevamo più armi in attacco e sapevamo come tirar fuori una difesa quando serviva".

Chi è oggi Gianluca Basile?

"Uno che fa ciò che lo fa star bene. Lavorare con i cani mi impegna dall’alba al tramonto, in mezzo ci faccio stare i miei hobby, come la pesca".

Che cosa ha scritto sulla carta di identità?

"Sulla prima, che avevo anche a Reggio, c’era bracciante agricolo. Poi a Bologna l’ho cambiata in sportivo professionista. Scadrà nel 2024: ho tempo per trovare una nuova professione".

Prossimo sogno?

"Vorrei ritornare quello che ero prima di partire per Reggio. Qui a Capo d’Orlando ho iniziato anche a coltivare un po’ di terra, faccio cose che da piccolo mi sembravano dure e ora sono un piacere. Mi ricorda tanto della mia infanzia, della mia famiglia. E mi fa stare bene".