Tentato aborto su una tredicenne, condannato ginecologo riminese

La ragazzina, violentata dal padre, era rimasta incinta. L'operazione in una clinica di Cesena

Medici durante un'operazione

Medici durante un'operazione

Rimini, 12 gennaio 2018 - Tentò un aborto, su una ragazzina di 13 anni. Era il 2013. Il medico, alla clinica Malatesta Novello di Cesena (estranea ai fatti) si trovò però di fronte a «questioni tecniche irrisolvibili» e l’operazione fallì. Tanto che poi l’interruzione di gravidanza venne praticata in ospedale a Rimini. Ed è lì che successivamente, attraverso i servizi sociali e con le indagini della squadra mobile riminesi, venne fuori tutta storia, dai contorni terrificanti: il figlio che la piccola aspettava era del padre. Era frutto cioè di un incesto, di una violenza sessuale domestica. L’uomo, straniero, venne arrestato mentre era in fuga in Svezia, nel giugno 2014. Subì un processo e una condanna a 6 anni, l’11 marzo 2015, per violenza sessuale e induzione all’aborto. Condanna ora definitiva.

Adesso arriva invece il verdetto contro il medico ginecologo che si prestò, a Cesena, all’interruzione di gravidanza poi fallita, nel 2013. Il giudice del tribunale di Forlì, Floriana Lisena (pm Annamaria Rava), ha condannato il medico, Nunzio Antonio Giulini, 75 anni, riminese, ora in pensione, a un anno e 8 mesi di reclusione, per violazione della legge sull’aborto. Il professionista a riposo, difeso dall’avvocato Leonardo Bernardini, del foro di Rimini, dovrà anche risarcire la parte lesa, la ragazza, oggi maggiorenne (assitita dall’avvocato Alfonso Vaccari, anche lui del foro riminese), con 30mila euro di provvisionale subito esecutiva.

La vicenda giudiziaria scatta proprio col fallito aborto a Cesena. Il dottor Giulini si ferma «per ragioni tecniche». A quel punto il padre della ragazzina – lui stesso ha contattato il professionista, per tenere nascosto il più possibile la vicenda – deve rivolgersi all’ospedale di Rimini. E qui le cose si complicano. I medici riminesi non credono all’uomo quando dice che la moglie non può apporre la firma al consenso perché «è di idee arretrate». I sanitari allora avvertono i servizi sociali. Che allertano a loro volta la squadra mobile. La ragazzina, terrorizzata, dice che la gravidanza è frutto del rapporto con un compagno di scuola delle medie. La storia però non regge. La polizia indaga sulla famiglia ed emerge la realtà. Gli inquirenti chiedono l’esame del Dna. E a quel punto il padre fugge all’estero. Quando venne preso, nel 2014, il riscontro genetico lo inchioda.