REDAZIONE RIMINI

Denunciata per un cellulare rubato Ma è un errore: assolta dal giudice

Denunciata per un cellulare rubato Ma è un errore: assolta dal giudice

Si è ritrovata iscritta nel registro degli indagati e ha dovuto affrontare un processo davanti al giudice del tribunale di Rimini. Tutto a causa di un regalo: uno smartphone Huawei donatole dal marito e acquistato regolarmente da una società di telefonia attraverso la piattaforma Amazon. Protagonista di questa vicenda a tratti kafkiana, una donna riminese di 40 anni che, difesa dall’avvocato Gianluca Brugioni, dopo un lungo ed estenuante braccio di ferro nelle aule della giustizia, è riuscita a dimostrare la propria innocenza, venendo quindi assolta dal giudice. Tutto comincia nel marzo del 2021, quando la donna viene contattata dai carabinieri della stazione di Rimini - Porto, che le chiedono di passare in caserma per farsi identificare. La 40enne scopre così, con grande stupore, che contro di lei pende una denuncia per ricettazione. Tutto a causa di quel cellulare, identico per modello e colore ad un altro Huawei, rubato qualche mese prima, in ottobre, ad una signora toscana residente in provincia di Pistoia.

La vittima del furto si era rivolta ai militari per denunciare l’accaduto e i militari, dopo una serie di controlli, avevano indirizzato i loro sospetti verso la riminese. Il motivo? Tutto ruota attorno al codice IMEI, un numero identificativo di 15 cifre che in un certo senso rappresenta un po’ il codice fiscale dei telefonini. Il codice IMEI dello smartphone rubato corrispondeva quasi integralmente a quello dello Huawei in mano alla 40enne. Motivo sufficiente, secondo gli inquirenti, per ipotizzare nei suoi confronti il reato di ricettazione.

Il cellulare viene posto sotto sequestro e restituito alla signora pistoiese, mentre la donna riminese è costretta a difendersi in tribunale. Cerca di giustificarsi, spiegando che quel dispositivo è stato regolarmente acquistato con carta di credito su Amazon dal marito, ed è pronta a mostrare la fattura per dimostrarlo. Nei suoi confronti viene tuttavia emesso un decreto penale di condanna, al quale l’avvocato della difesa si oppone. Si arriva così alla discussione davanti al giudice monocratico, durante la quale emerge finalmente l’incongruenza: la corrispondenza tra i codici IMEI riguardava solamente 14 cifre su un totale di 15 e dunque i cellulari non potevano essere gli stessi. Il giudice a questo punto non può che pronunciare una sentenza di piena assoluzione, in quanto il fatto non sussiste.