Il latitante adesso si confessa: "La spedizione punitiva non era solo per una questione di soldi"

Stando a quanto dice il bosniaco, il camorrista si era informato sulle abitudini dei suoi familiari

E’ ancora latitante il 45enne bosniaco, soprannominato ‘Ivan’, indicato dai complici come il principale responsabile dell’omicidio di Antonino Di Dato, il napoletano morto dopo nove giorni per le ferite riportate nel violento pestaggio di cui fu vittima il 3 novembre scorso in un hotel di Marina Centro.

Quel giorno, Ivan – accompagnato da altre persone, tutte individuate dalla Squadra mobile di Rimini e successivamente fermate – si sarebbe recato nell’albergo e lì aveva preso di sorprese il 45enne campano, vicino agli ambienti della criminalità organizzata, pestandolo a sangue con pugni, calci e anche un bastone da trekking e spedendolo in coma all’ospedale Bufalini di Cesena.

Il latitante si sarebbe dovuto costituire alle forze dell’ordine all’inizio di dicembre, ma dopo aver annunciato la sua decisione alla procura e alla Squadra mobile, alla fine non si era presentato all’appuntamento, continuando dunque a rimanere un fuggiasco. Dalla sua latitanza, avrebbe raccontato ad alcuni contatti stretti la sua versione su quanto avvenuto il 3 novembre scorso e sui motivi che lo avrebbero spinto ad aggredire Di Dato. Quest’ultimo aveva infatti maturato con il bosniaco un debito di 7.500 euro, che fin da subito è stato indicato come il principale movente della spedizione punitiva. ‘Ivan’ ha però riferito che da alcune settimane il 45enne campano aveva iniziato a raccogliere in giro informazioni sulla moglie e sui suoi figli (la famiglia è assistita dall’avvocato Stefano Caroli): le loro abitudini, quali scuole frequentano, e così via. Forse non voleva saldare il debito e stava pianificando un’azione intimidatoria. Ma il bosniaco aveva deciso di anticiparlo, raggiungendolo in hotel.