
di Manuel Spadazzi
Era un giovane studente universitario ("dovevo ancora laurearmi) quand’è entrato nell’azienda di famiglia. "Era il 1968, e mi affidarono il compito di partecipare ad alcune missioni all’estero". Dopo oltre mezzo secolo Alfredo Aureli non siede più ai vertici di Scm, l’impero delle macchine per lavorazione del legno e di altri materiali fondato dalle famiglie Aureli e Gemmani. Nel nuovo cda del gruppo spazio anche alla quarta generazione delle due famiglie. Alfredo,per tanti anni amministratore delegato di Scm, ha salutato tutti i dipendenti e i collaboratori con una lunga e struggente lettera, che ha commosso ed emozionato. Forse perché, in quella lettera, ha messo nero su bianco i valori a cui Scm "non dovrà mai rinunciare, per affrontare le sfide presenti e future".
Un addio non in punta di piedi. Le pesa non far parte del cda?
"No assolutamente – risponde deciso Aureli – Non sono né dispiaciuto né amareggiato. Anzi: è una gioia farmi da parte per le nuove generazioni. Ma se ho voluto scrivere quella lettera, è stato per ricordare chi siamo, da dove veniamo e dove vogliamo andare".
Dove deve andare Scm, secondo lei?
"Lascio un’azienda che ha saputo resistere a due gravissime crisi, quelle economica scoppiata nel 2009 e quella attuale, causata dalla pandemia. Ma Scm non deve solo resistere: deve tornare a crescere, cosa che purtroppo non è più riuscita a fare negli ultimi anni".
Colpa della crisi?
"Anche. E della mancate scelte strategiche che andavano compiute, e che invece purtroppo non siamo riusciti a fare per una serie di motivi. Se vuole essere il leader assoluto nel mercato internazionale, Scm dovrà essere capace di fare acquisizioni mirate, strategiche, e di aprire nuovi stabilimenti in quei paesi dove punta a crescere e a svilupparsi. Questo mantenendo sempre il cuore dell’azienda qui dov’è nata".
Nella sua lettera lei ricorda a tutti i valori imparati da suo padre. Tra questi: il cliente al primo posto, l’azienda al di sopra di tutti...
"Sono i valori a cui mi sono ispirato da sempre. La lettera forse è stata molto apprezzata anche per questo, tanti mi hanno scritto in questi giorni. Mio padre sosteneva anche che Scm deve essere il numero uno al mondo, e che per fare bene le cose non basta l’intelligenza: ci vuole il cuore. E’ quello che consiglio a chi porterà avanti l’azienda: metteteci il cuore. Scm è un patrimonio collettivo: i soci e gli azionisti possono cambiare, ma i valori dell’azienda devono restare gli stessi per il bene di tutta la comunità".
Altre grandi aziende del Riminese si sono affidate a fondi internazionali. Potrebbe accadere in futuro anche per Scm?
"La proprietà è e resta saldamente nelle mani delle famiglie Aureli e Gemmani. Se in futuro sarà necessario per questioni finanziarie l’apporto di un fondo, questo non deve snaturare i valori e la missione di Scm".
Il ruolo di amministratore delegato è stato affidato a Marco Mancini, il direttore generale del gruppo. Una scelta forte.
"E’ bene che ci sia un manager esterno alla guida".
Ora che farà, andrà in pensione?
"Non ci penso affatto. Continuerò di Aetna group (l’industria di packaging che gestisce con i figli), ma per Scm ci sarò sempre. Se e quando l’azienda avrà bisogno di me, io ci sarò. Mi considero un alpinista che ha raggiunto tante vette. Ora mi metto a disposizione dei nuovi e giovani ’scalatori’. Sarò il loro campo base, li aiuterò a salire in cima ad altre vette".