Prospettive di lavoro per i giovani

Oggi si identifica invece sempre più il lavoro in una soddisfazione esistenziale quasi prioritaria rispetto a quella alimentare. La conseguenza è che se il tempo non viene speso con dignità, se non si intravede niente oltre l’immediato, se ci si sente insicuri e senza prospettive, si iniziano ad autoescludersi dal mercato del lavoro. E non è vero, o almeno non lo è da noi, che la causa è l’assistenzialismo di Stato, perché poi si scopre che in provincia di Rimini il reddito di cittadinanza è percepito da appena l’1% della popolazione con una media di 495 euro… Va poi messa sul piatto la convinzione ormai diffusa che non esista un ascensore sociale: la struttura aziendale e l’apparato pubblico offrono poche prospettive di crescita economica e di carriera amplificando lo sconforto già derivante dal non riuscire a realizzare i propri sogni e dal non poter fare il lavoro per cui si è studiato. Spesso per la mancata meritocrazia, molte volte per l’eccesso inutile di burocrazia che rende sempre tutto lento e macchinoso. E’ in atto una rivoluzione, indotta e non di piazza, ma che ci costringe a ripensare a al nostro

sistema, alla scuola e alla pratica, l’innovazione, la formazione di una classe dirigente sempre più specializzata. Per questo faccio fatica a pensare che la “colpa” sia di chi lavora o di chi non lavora. Bisogna tornare a serie politiche del lavoro che anche noi di sinistra abbiamo abbandonato convinti che il mercato facesse da sé: alle nuove generazioni va restituita una prospettiva di futuro e di una felicità possibile a lungo termine.

Quindi? Qual è il centro del campo? La vera rivoluzione che può partire da Rimini è l’uscire ad esempio dalla logica dei turni infiniti sottopagati che l’economia turistica estremizza. Equo compenso e salario minimo sono i punti di partenza. E poi magari settimana di quattro giorni lavorativi con obiettivi e "premialità" che accentuano la predisposizione, l’attitudine e di conseguenza la produttività.

Filippo Sacchetti