Pupi Avati: "Rimini capitale fantastica e imprevedibile"

Pupi Avati: "Rimini capitale   fantastica e imprevedibile"

Pupi Avati: "Rimini capitale fantastica e imprevedibile"

Al teatro Galli la luce inonda la sala del Grifone e il viso di Pupi Avati in veste di presidente di giuria al festival cinematografico la "Settima Arte". Al suo fianco, adagiata sui divani, Edwige Fenech. Avati discute del cinema hollywoodiano e di quello nostrano che tanto deve a Fellini.

Avati dove va il cinema italiano e come si confronta con quello americano?

"Il cinema italiano non ci riesce a essere competitivo con quello americano e non ci prova neppure. Le tecnologie, nelle attività di largo consumo, sono diventate prevalenti. Non si vanno più a vedere i film per farsi raccontare le storie, ma per vedere gli effetti speciali e la vastità e la grandiosità degli immaginari tecnologici del digitale. E gli americani in questo hanno un potere straordinario e un investimento sia finanziario, che di know out, sproporzionato rispetto al nostro".

Come risponde a tutto ciò il cinema italiano?

"Per tradizione abbiamo raccontato le storie degli esseri umani e questo ha avuto un grande riscontro. Gli artisti, gli sceneggiatori, i registi e gli autori non hanno mai lavorato come nell’ultimo periodo grazie a una fruizione del cinema che cambia attraverso le piattaforme, che tuttavia tradiscono il cinema".

Tanto streaming dunque?

"Si lavora molto per produrre film che alla fine sono fruiti attraverso un telefonino ma c’è anche una ghigliottina, come lo era il telecomando, che fa sì che dopo due secondi, se il film non piace allo spettatore, allora si cambia contenuto. Non succede mai che chi entra al cinema, dopo due minuti se ne va".

C’è un erede di Fellini?

"Fortunatamente non c’è nessuno che ci ha provato. Perché quei pochi goffi tentativi che sono stati fatti sono morti e abortiti. Fellini aveva un’identità, come autore, sua personale e straordinaria, che ha messo in discussione il realismo cinematografico attraverso quel capolavoro che è ‘8 e 12’. È questo il film che sconvolge il modo di raccontare, che lo rivoluziona, e che fa sì che molti registi iniziano a fare film, proprio perché lo avevamo visto".

Perché candidare Rimini a capitale della cultura?

"Perché è la città che rappresenta il centro della Romagna, che a sua volta è una delle regioni più creative, fantasiose e più imprevedibili. Io sono emiliano ma ho la nostalgia e un rammarico di non essere romagnolo. I romagnoli sono rimasti matti. Credo che non ci siano tanti matti di paese come in Romagna, che è ancora capace di sognare, di immaginare, di buttarsi".

Andrea G. Cammarata