Vieni oltre, tutti i suoni della città. Rimini spalanca le porte al futuro

Capitale della cultura, l’intervento dello scrittore Marco Missiroli

Vieni oltre, tutti i suoni della città. Rimini spalanca le porte al futuro

Vieni oltre, tutti i suoni della città. Rimini spalanca le porte al futuro

SEGUE DALLA PRIMA

(...) La tavola chiama al ciàcri, le chiacchiere, che è il secondo suono e non è vero che i romagnoli parlano forte. Sussurrano, poi un’alzatina di voce, il cantare morbido, l’incazzarsi a soffio, il discutere gentile. Le azdore baritone, gli azdori contralti, qualcuno che dice ho fèma, la fame del tramonto, qualcuno che già mangia il pane mezzo duro, inzuppato nel sangiovese, e i televisori che si accendono. L’orchestra comincia, le donne e gli uomini e le padelle, tutti insieme, manca poco ai telegiornali. Invece arriva un silenzio. Il terzo suono. Si ferma la tavola, si fermano le voci. Dalle case viene un’eco gentile che pare l’Adriatico quando non ha le onde e dorme nel suo orizzonte. Smettono anche le cicale e i primi grilli, si spengono le automobili e i cigolii delle biciclette, le musiche del lungomare singhiozzano e questo è il respiro di Rimini che si prepara alla notte, stanca dei mestieri diurni e affamata di festa. E la sua malinconia batte, i ricordi si allargano nei cuori. Ma adesso sono le otto della sera e il quarto suono arriva. Nasce lontano, e inizia con un battito di piedi sui pavimenti delle cucine, intorno alle tavole e sopra il silenzio. Cresce fino alle finestre spalancate delle case. Sono i passi delle madri o dei padri che si allungano dai parapetti, dai balconi, si sporgono. Stanno per cantare l’ultimo suono della città. È di due parole, pronunciate in coro, rivolte alla strada: vieni oltre.

Vieni oltre. Il canto delle mamme e dei babbi che chiamano i figli, i burdèl, sparsi nei cortili e nei parchi e nei campi di gioco e sotto gli ombrelloni o nei bar, al Parco Marecchia, al porto, nei giardini propri e nei giardini degli altri, scalmanati e gioiosi, i burdèl che ancora non si vedono anche se la tavola è già pronta. Venite oltre. Vieni oltre, figlio mio. Vieni, giovinezza. E guarda al di là di queste mura, perché lo sai fare. Oltre: lo chiamano futuro, noi preferiamo dire avvenire. E i figli lo sanno, così basta poco perché sbuchino dai cortili e dai parchi e dai campi di gioco e da sotto gli ombrelloni o dai bar, dal Parco Marecchia, dal porto, dai giardini propri e dai giardini degli altri, arrivino svelti come la polvere mentre li senti dire, Mia mamma mi ha chiamato!, Mio babbo mi ha chiamato!, e giù a correre fino alle entrate delle case con addosso il coraggio di crescere. Poi lì, davanti alle porte, si fermano. Dura un attimo, per asciugarsi la fronte e darsi una sistemata, per guardarsi tra di loro e per guardare voi che li state guardando. È un invito a entrare. Venite oltre. Attraversate la via e avvicinatevi, le porte sono aperte.

Marco Missiroli