Mascherine coronavirus Rovigo, così la Intimo di Corbola risorge

Una decina di operai al lavoro nell'azienda che era finita nel mirono della finanza

Un’immagine dell’azienda di Corbola, con operaie al lavoro

Un’immagine dell’azienda di Corbola, con operaie al lavoro

Rovigo, 28 marzo 2020 - Due condanne e un rinvio a giudizio per bancarotta fraudolenta lo scorso ottobre ma oggi è un’azienda che produce mascherine contro il contagio da Coronavirus. È la storia recente di una società di Corbola, la Intimo Srl, che era finita prima nel mirino della guardia di finanza e poi in quello della magistratura.

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Da pochi giorni invece è stata autorizzata dalla prefettura a riconvertire la produzione in dispositivi di protezione individuale. Non si tratta dei presidi che utilizzano i medici, quelli testati e garantiti per chi ha a che fare quotidianamente con soggetti malati. Sono le mascherine comuni, consigliate soprattutto per non rischiare di contagiare gli altri dal momento che gli asintomatici veicolano il Coronavirus.

Ora a Corbola lavorano meno di dieci operai che sono passati dall’intimo a questa nuova attività sotto la supervisione di Monica Umberta Nale, commercialista nominata a suo tempo dal tribunale come garante del percorso di amministrazione controllata. Dunque si può parlare di una risurrezione sia economica, sia morale dal momento che la produzione odierna è legata all’emergenza sanitaria in cui versa il Paese.

Il recente passato invece era stato un po’ più burrascoso. Lo scorso ottobre al termine dell’udienza preliminare il giudice Silvia Varotto ha condannato due degli imputati, ex amministratori, per bancarotta fraudolenta, ha assolto il professionista che svolgeva il ruolo di commercialista all’epoca dei fatti e ha rinviato a giudizio la quarta imputata. Una cittadina straniera incensurata aveva accettato di prestare il proprio nome per comparire come amministratrice della ‘bad company’ sulla quale erano stati scaricati tutti i debiti per lasciarla fallire.

A settembre del 2018 la Guardia di Finanza aveva eseguito sequestri per un milione e mezzo di euro. La cifra della quale, secondo gli inquirenti, era stata svuotata l’azienda per attrezzare una società specchio mentre la vecchia falliva. Un’inchiesta che il pubblico ministero Monica Bombana aveva chiuso prima del suo trasferimento alla procura di Modena.

Le indagini hanno avuto origini dal fallimento. Secondo i finanzieri lo scopo degli amministratori era quello di eludere il pagamento dei debiti che nel corso degli anni avevano raggiunto il milione di euro. Tramite l’operazione straordinaria avrebbero infatti svuotato la precedente società trasferendo tutto il patrimonio nella nuova società a responsabilità limitata e intestando ad una donna rumena, una mera prestanome, la vecchia azienda poi fallita. Acqua passata ormai. Ora nuova vita in amministrazione controllata a produrre mascherine contro il Coronavirus con l’avallo del prefetto.