Omicidio Burci, “Io condannato all’ergastolo, ma sono innocente”

Intervista in esclusiva a Sergio Benazzo: “È una grande ingiustizia, i veri assassini sono liberi”

Sergio Benazzo

Sergio Benazzo

Rovigo, 10 marzo 2017 - «La condanna di Rovigo non mi ha spezzato ma mi ha piegato bene. Io ci speravo davvero nell’assoluzione perché so di essere innocente». Sergio Benazzo, 41 anni, racconta le proprie giornate, i pensieri, le angosce. Condannato tre volte al massimo della pena, attende un nuovo giudizio. L’infanzia a Rovigo, in Commenda. Dopo le medie alle Riccoboni, a 15 anni ha iniziato a lavorare come idraulico. Il primo ergastolo a Ferrara nel luglio del 2012, condanna confermata in appello a Bologna nel giugno del 2013.

A luglio del 2014 la Cassazione ha fatto ripartire il processo a Rovigo per incompetenza territoriale. L’8 febbraio anche il tribunale di Rovigo ha sentenziato: ergastolo. Ora Benazzo ricorrerà in appello a Venezia. È già stato in carcere a Reggio Emilia quasi 4 anni, dal 2011 al 2014. Ora dietro le sbarre non può più andare fino a condanna definitiva. Esaurito il limite della custodia cautelare. Ha l’obbligo di dimora in un paesino della provincia di Rovigo. L’accusa è di omicidio e occultamento del cadavere di una diciannovenne rumena, Paula Burci, il cui corpo è stato trovato carbonizzato, nascosto in una golena del Po a Zocca, nel ferrarese, il 24 marzo 2008. Con Benazzo è stata condannata anche Gianina Pistroescu, la sua ex compagna.

Come si vive con lo spettro dell’ergastolo?

«Sono a posto con la coscienza, spero nella fine di questo incubo. Ma sapere di aver buttato via quasi dieci anni è un peso che non ti lascia. Di notte dormo. Non molte ore. Ma non ho mai avuto incubi perché ho la coscienza pulita». Ha fiducia nella magistratura? «L’ho sempre avuta, so che è una ruota lenta ma non è ferma. Gira piano piano. La verità deve venire fuori. Alla televisione ogni tanto senti di gente liberata dopo 20 o 30 anni perché si scopre che erano innocenti. Ecco, io spero che mi succeda prima. Ma deve succedere. La legge dice che si è colpevoli solo quando lo possono dimostrare oltre ogni ragionevole dubbio».

Ha mai pensato di scappare?

«No, perché un innocente non scappa. A 18 anni ho lavorato quattro anni in Spagna, poi in Germania, Francia e Grecia. Mi piace viaggiare ma non scappare».

Mai pensato al suicidio?

«Nei primi mesi in carcere ti passa di tutto per la testa. Una mattina ero al lavoro, sono arrivati, mi hanno arrestato. E da lì è iniziato tutto. Un calvario. Ma la vita è una cosa troppo preziosa, va rispettata».

Chi crede nella sua innocenza?

«Il mio avvocato e tutte le persone che mi stanno attorno».

Quindi lei non si sente solo?

«No. Ho familiari, amici, conoscenti. Vivo con i genitori. Mio padre mi ha sempre detto che se solo avesse avuto un dubbio sulla mia innocenza mai mi avrebbe ospitato. Mi credevano anche i compagni di cella. I giudici peggiori sono i detenuti. Mi davano dell’imbecille».

Perché in carcere le davano dell’imbecille?

«Perché dicevano che ci ero cascato come un pero. Condannato senza un motivo valido, le persone che hanno commesso il delitto sono là fuori che ridono».

Come passa le giornate?

«Qualche lavoretto come idraulico, ci sono famiglie che mi danno fiducia. Un po’ di pesca, un po’ di passeggiate. Vado a trovare gli amici. Sto con i genitori. Guardo la televisione».

In questi nove anni si è fidanzato?

«Ho avuto una compagna fino a poco fa. L’ultima condanna è stata fatale. Ci siamo lasciati dopo due anni, per lei era troppo pesante stare con una persona nelle mie condizioni. Però la capisco».

Come sono stati gli anni in carcere?

«Il primo impatto è duro. Ma dopo qualche mese mi hanno messo a fare l’idraulico».

Ha fatto amicizie?

«Sì, con un uomo che aveva ucciso la moglie perché lei lo tradiva. Durante un litigio davanti a casa ha perso la testa, ha preso una pietra e le ha fracassato il cranio. Si è costituito e ha preso 19 anni. Era una persona altolocata. Non credo sia già fuori ma non deve mancargli molto, era dentro già da anni. Lo vedevo che stava male. Amava veramente sua moglie. Sapeva di essere colpevole. Ed era tormentato. Il senso di colpa a volte lo divorava».

Qual è ora il suo sogno?

«Essere assolto. Ma non solo. Anche scoprire chi realmente ha commesso quell’omicidio. Vorrei davvero sapere chi è stato a compiere un gesto così brutale nei confronti di una povera ragazza. E a mettere me in questa condizione assurda».

Se l’assolvessero cosa farebbe?

«Riprenderei la vita che facevo prima, mi piace lavorare. Per me fare impianti idraulici è una soddisfazione. Poi mi piacerebbe costruire una famiglia».

C’è qualche posto dove desidererebbe recarsi?

«Amo il mare. Sono almeno otto anni che non lo vedo».