Omicidio Yara, manomissione del Dna di Ignoto 1: due indagati

L'indagine a Venezia, sull'ipotesi di alterazione dei reperti biologici, sarebbe prossima alla chiusura

Yara Gambirasio e Massimo Bossetti

Yara Gambirasio e Massimo Bossetti

Venezia, 31 marzo 2022 - Un caso senza fine. Sulla morte di Yara Gambirasio continuano i misteri. La Procura di Venezia prosegue nel più stretto riserbo l'indagine sull'ipotesi di alterazione dei reperti biologici sul caso di Yara Gambirasio, denunciata da Massimo Bossetti, condannato in via definitiva per l'omicidio della 13enne di Brembate. I magistrati di Bergamo, in accordo con la Corte d'Assise orobica, avevano trasmesso per competenza, nel giugno 2021, ai colleghi dell'ufficio di Venezia gli atti "per le opportune valutazioni", dopo la denuncia alla difesa del muratore di Mapello. 

Nel fascicolo - come scrive il Corriere del Veneto - risultano indagati dalla Procura lagunare il presidente della prima sezione penale del tribunale di Bergamo, Giovanni Petillo, e una funzionaria, Laura Epis, responsabile dell'Ufficio corpi di reato. Entrambi avevano ricevuto anche l'avviso di proroga dell'indagine, per le ipotesi di frode in processo e depistaggio.

L'indagine, secondo quanto si apprende, sarebbe prossima alla chiusura. Nessun commento in proposito dal procuratore aggiunto Adelchi D'Ippolito, titolare del fascicolo, che nei mesi scorsi aveva ascoltato come testimoni i titolari dell'accusa al processo per l'omicidio della 13enne Yara e alcuni investigatori. La difesa di Bossetti si era già vista respingere nel 2021 la richiesta di riesaminare i reperti confiscati dopo la sentenza definitiva, in particolare le tracce di Dna. 

La denuncia presentata nel 2021 

L'inchiesta nasce da una denuncia presentata nel giugno del 2021 dagli avvocati Claudio Salvagni e Paolo Camporini, difensori  di Massimo Bossetti, alla procura veneta (titolare dei fascicoli che riguardano i magistrati di Bergamo) perché qualcuno potrebbe aver occultato deliberatamente 54 provette contenenti il Dna che è costato l'ergastolo all'imputato. In particolare la difesa ha sempre lamentato di non aver avuto accesso diretto alle tracce di Dna trovate sui leggins e sulle mutandine della vittima classificate inizialmente come 'Ignoto 1' e poi attribuite al muratore di Mapello. A dibattimento era emerso che la traccia decisiva, quella da cui fu estratto il profilo di 'Ignoto 1', non sarebbe più utilizzabile in quanto "definitivamente esaurita", successivamente invece si è dato atto della disponibilità di 54 campioni di Dna trovati sul corpo della vittima.

La catena del freddo interrotta

Ma il sospetto della difesa è che "il materiale confiscato sia stato 'conservato in modo tale da farlo deteriorare' vanificando la possibilità di effettuare nuove indagini difensive". Nei mesi scorsi sarebbero stati ascoltati diversi testimoni, compresa la pm Letizia Ruggeri titolare dell'inchiesta sull'omicidio di Yara, e ora l'inchiesta veneziana sembrerebbe vicina alla chiusura "e, sempre stando alle indiscrezioni, finora - scrive il quotidiano - non sarebbe emersa alcuna prova di un comportamento doloso". Se così fosse la procura non potrà che chiedere l'archiviazione del fascicolo.

"Pendono altri due ricorsi in Cassazione per ottenere l'autorizzazione a riesaminare quei reperti, che però ancora non sappiamo in che condizioni siano e che tipo di danni possano aver subito trasferendoli dall'ospedale San Raffaele, dove erano custoditi inizialmente, ai magazzini dell'Ufficio corpi di reato - spiega l'avvocato Salvagni -. L'obiettivo della denuncia è proprio di sapere se sono ancora  utilizzabili o se qualcuno, magari interrompendo la catena del freddo indispensabile per la buona conservazione dei campioni, abbia compromesso per sempre la possibilità di effettuare dei nuovi studi sul Dna di 'Ignoto 1'".